Vette di Luce

Foto d’autore esposte dove l’arte è di casa

All’Accademia Carrara si è svolta fino a settembre 2023 la mostra del fotografo giapponese Naoki Ishikawa, organizzata in seno al progetto Vette di luce, nato per celebrare la bellezza delle montagne bergamasche, all’indomani della nomina di Bergamo e di Brescia capitali italiane della cultura.

 

Non conoscevo le montagne europee e le Alpi Orobie sono state il mio primo incontro con questo paesaggio montano. Nel corso delle tre residenze passate a Bergamo lo scorso autunno, in inverno e nella primavera, ho avuto modo di esplorare e percorrere i sentieri che collegano una vetta all’altra, camminando da un rifugio all’altro, salendo e scendendo attraverso villaggi e valli, incontrando le comunità che li abitano. Via via ho iniziato a percepire l’intera montagna come un corpo unico che andavo assimilando passo dopo passo. Le fotografie presentate in mostra e raccolte nel libro, accanto ai dipinti dell’Ottocento, sono il racconto di questa esperienza. Così si è espresso Naoki Ishikawa, fotografo e alpinista giapponese, nato a Tokyo nel 1977, autore della mostra, realizzata in seno al progetto “Vette di luce” ed esposta dal 23 giugno al 3 settembre 2023 presso l’Accademia Carrara di Bergamo. L’iniziativa è nata per celebrare le Alpi Orobie in occasione della nomina di Bergamo e di Brescia capitali Italiane della Cultura.

La mostra il cui allestimento è stato curato da Filippo Maggia e Maria Cristina Rodeschini della Fondazione Accademia Carrara, è stata organizzata in collaborazione con la Sezione del CAI di Bergamo e l’Osservatorio per le Montagne Bergamasche.

 Naoki, durante la sua permanenza a Bergamo, ha camminato molto, senza mai smettere di guardarsi intorno e di stupirsi per la bellezza dei luoghi. La manifestazione è stata ideata per mettere a confronto la montagna dipinta da artisti del paesaggio montano bergamasco dell’Ottocento e quella fotografata, ai nostri giorni, dal giovane fotografo giapponese, il quale ha fornito una propria originale interpretazione, anche in chiave archeologica, delle Alpi Orobie, L’opera si è compiuta nell’arco di tre stagioni, che l’autore giapponese ha trascorso nelle Orobie, effettuando tre differenti campagne fotografiche. Naoki fin da ragazzo passava il tempo leggendo libri di avventura, sognando di viaggiare e visitare luoghi poco conosciuti. A 17 anni ha intrapreso da solo un viaggio in India e Nepal. Tre anni dopo si è avventurato sul monte Fuji, simbolo delle sue origini. Si è, poco alla volta, appassionato alla fotografia e ha partecipato a una spedizione al Monte Denali, in Alaska, imparando a vivere in simbiosi con la natura. La sua professionalità è cresciuta grazie al confronto con altri colleghi dall’obiettivo felice, in particolare con Daldo Moriyama, il “fotografo randagio”.

Laureatosi nel 2005 presso l’Accademia di Belle Arti di Tokyo, ha completato successivamente il dottorato, dimostrando interesse per gli studi antropologici ed etnografici. Ha scritto libri fotografici e ha viaggiato in tutto il mondo. Divenuto alpinista, ha preso parte ad alcune spedizioni in Himalaya, conquistando dieci dei quattordici Ottomila. Ha scritto: alle volte mi sembra che la fotografia mi permetta di entrare in uno stato di veglia permanente dove, aprendo gli occhi, scopro qualcosa che altrimenti non avrei visto. Allora scatto, come se fossi colpito da una rivelazione improvvisa, e, magari solo dopo, rivedendo le singole immagini una accanto all’altra, riesco a ricomporre l’intero sogno, la visione che allora avevo solo percepito. Naoki utilizza un semplice obiettivo senza zoom o altri sussidi e non disdegna le vecchie pellicole con sistema analogico, soprattutto per ritrarre la natura montana.

 Durante il suo soggiorno nelle Orobie, è entrato in contatto con le popolazioni di montagna, rimanendo molto colpito da quella che lui ha definito la “cultura delle baite” e dalla vita quotidiana delle valli bergamasche, completamente diversa rispetto a quella del Giappone. Si è particolarmente interessato alla produzione casearia.

 

Altri artisti prima di lui

 

Alcuni celebri pittori hanno frequentato, tra fine Ottocento e inizio Novecento, le Alpi Orobie, percorrendo sentieri, salendo vette, osservando attentamente la natura di quei luoghi e cercando di trasmettere, mediante la propria vena artistica, intense emozioni e dipingendo con minuzia paesaggi di rara bellezza. Cesare Tallone a partire dal 1884 è stato direttore della Scuola di Pittura dell’Accademia Carrara, con l’intento di dare nuova linfa, mediante i suoi insegnamenti, ai giovani artisti della scuola pittorica bergamasca di quel tempo. Tallone organizzò uscite in ambiente per ritrarre le montagne, i villaggi, i montanari, dalla Valle Taleggio, alla Valle Brembana, alla Valle Seriana fino alla Valle di Scalve.

Tra i vari allievi che si sono avvicendati nell’ambito della Scuola di Pittura figuravano Costantino Rota (1803-1878), Andrea Marenzi (1823-1891), Ermenegildo Agazzi (1866-1945), Vittore Grubicy De Dragon (1851-1920) e Camillo Galizzi (1880-1962), che hanno ritratto con la tecnica a olio molti paesaggi delle montagne bergamasche. Va sottolineato che gli artisti hanno da sempre molto apprezzato e frequentato le terre alte, in modo particolare coloro che vi sono nati. Quasi una sfida tra due mondi, tra due epoche diverse e con differenti modalità d’arte: una sorta di dialogo tra fotografia e pittura, realizzato a distanza di quasi due secoli. Molti dei dipinti che sono stati esposti appartengono alla vasta collezione della Sezione del CAI di Bergamo. Le copie di alcuni dipinti presenti presso l’Accademia Carrara sono state esposte nei dieci rifugi della Sezione del CAI di Bergamo grazie al progetto La Carrara in alta quota che ha creato un “museo diffuso della montagna”, così come è stata definita l’iniziativa.

 

3.12.23