MONTAGNA “DEMOCRATICA”: IL CONVEGNO SVIZZERO

Lo scorso gennaio a Le Châble, in Canton Vallese, si è svolto un Congresso Internazionale di Medicina di Montagna, durante il quale sono stati affrontati numerosi argomenti, relativi alla salute di chi frequenta la terre alte

Giancelso Agazzi

 

Si è svolto dal 18 al 21 gennaio 2024 presso l’Espace Saint Marc a Le Châble in Canton Vallese, in Svizzera, il congresso internazionale di medicina di montagna, intitolato “Congrès International de Medecine de Montagne: “Démocratisation de la montagne et réchauffement climatique”, a cura dei medici del GRIMM. Il convegno è stato organizzato con varie sessioni in parallelo.

Marc Blancher di Grenoble ha parlato dell’ipotermia accidentale, del trattamento del paziente ipotermico travolto in valanga, con particolare attenzione all’Hope score che funge da criterio per il triage nell’arresto cardiaco. Tra le conclusioni dell’intervento: i rischi legati all’ipotermia sono maggiori nei traumi più gravi, gli arresti cardiaci causati dall’ipotermia hanno una prognosi migliore rispetto a quelli causati dall’ipossia. È importante lottare contro perdite di calore nei pazienti nel corso della fase pre-ospedaliera.

Beat Walpoth, cardiochirurgo dell’università di Ginevra, e Evelien Cools, del Dipartimento di Anestesia dell’università di Ginevra, hanno illustrato il registro internazionale dell’ipotermia (International Hypothermia Registry), che dall’inverno del 2016 è attivo per raccogliere a livello mondiale tutti i casi di ipotermia. Ne fanno parte 51 centri (80% inattivi). Al progetto ha partecipato anche Marie Meyer. Sono stati raccolti 128 soggetti ipotermici con circolo conservato e 73 in arresto cardiaco ipotermico (travolgimento da valanga). I soggetti sono per il 75% maschi con età media di 38 anni, per il 68% vittime di incidenti in montagna. Nei soggetti senza arresto cardiaco si è registrata una maggior percentuale di traumi. Nei soggetti non in arresto cardiaco la temperatura corporea era di 30°C, mentre in quelli in arresto cardiaco era di 25°C. I valori di potassio, lattato e i parametri della coagulazione erano più elevati tra gli ipotermici in arresto cardiaco. La sopravvivenza in ospedale è stata del 95% tra i soggetti non in arresto cardiaco e del 36% in quelli in arresto cardiaco. Il Glasgow Score era simile. Per il futuro si pensa a migliorare la prognosi dei pazienti con predittori più efficaci, mediante il processo decisionale. Occorre porre più attenzione ai casi di ipotermia tra i bambini, che sono sottostimati, e migliorare la conoscenza, tramite una corretta educazione tra i professionisti della sanità, i first responder e i laici. Vanno presi in considerazione i casi di ipotermia conseguenti ad annegamento, soprattutto d’estate.

È seguita la presentazione di J.J. Garcia Martinez, medico del Service de Médicine Intensive de l’Hôpital de Sion, che ha parlato dell’utilizzo dell’ECMO negli ipotermici gravi. L’ECPR è una forma di rianimazione cardiopolmonare extra-corporea che comprende l’ECMO nel trattamento dell’arresto cardiaco provocato dall’ipotermia. L’ECMO è in grado di ristabilire una circolazione e un’ossigenazione efficaci, garantire la circolazione cerebrale e far guadagnare tempo per riuscire a praticare altre terapie. Sembra funzionare bene. Nel 2023 si sono verificati presso l’Ospedale di Sion quattro casi di arresto cardiaco ipotermico: uno sopravvissuto, trattato con ECMO in seguito a un incidente accaduto in montagna, quattro deceduti. La velocità di riscaldamento (rewarming rate) non è al momento nota. Il target dovrebbe essere di 5°C/ora, ma una velocità più bassa (circa 2°C/ora) può essere associata a una migliore percentuale di sopravvivenza, con un buon recupero neurologico.

Mathieu Pasquier, medico del Service des Urgences CHUV dell’università di Losanna, ha parlato delle “Reccommandations Ikar 2023 de la prise en charge de l’avalanché”. Il relatore ha illustrato la curva di sopravvivenza del paziente completamente sepolto in valanga e della probabilità di sopravvivenza nel tempo. Ha parlato del triage nella gestione dell’asfissia e dei traumi. La misura della temperatura transesofagea costituisce il gold standard nella gestione del paziente ipotermico, quando possibile. La sopravvivenza di un travolto da valanga è impossibile senza la presenza di una sacca d’aria vicino alla bocca (air pocket). L’assenza di un air pocket comporta un’asfissia acuta. La copertura nevosa previene una rapida ipotermia (3°C/ora). L’arresto cardiaco da ipotermia può avvenire con una temperatura media di 24°C, specie se al di sotto dei 30°C. Si possono verificare una fibrillazione ventricolare o un’asistolia. La mobilizzazione o il trasporto di un ipotermico possono favorire l’arresto cardiaco. Nell’84% dei casi dei pazienti riscaldati con ECLS non si verificano sequele neurologiche rilevanti. Si è creato un gruppo di studio nell’ambito della Cisa-Ikar per effettuare una scoping review (mappatura e valutazione della letteratura esistente), sommario delle evidenze, raccomandazioni, realizzazione di un algoritmo e di una checklist. Sono sati individuati 1959 riferimenti. Si sono trovati 120 studi scientifici con dati originali: 45 retrospettivi (38%), 44 case report o case series (37%), 18 studi prospettici su volontari, 8 descrizioni di incidenti di massa (6,7%), 3 studi osservazionali (studio scientifico descrittivo o analitico che si limita a osservare i fenomeni) su vittime di valanga (2,5%), due studi prospettici su animali (1,7%). Il termine seppellimento critico viene utilizzato per identificare le condizioni in cui la respirazione è impedita e vi è un alto rischio di asfissia. Il termine vie aeree ostruite o bloccate implica che la bocca e il naso siano completamente pieni di neve o di materiali di qualsiasi natura: in questo caso si parla di “mancanza di air pocket”. Per air pocket si intende una sacca d’aria presente davanti alla bocca o al naso di una vittima. Sono stati messi a punto due algoritmi: uno per la gestione iniziale di un soggetto con seppellimento critico e l’altro decisionale riguardante un soggetto in arresto cardiaco. In occasione di un seppellimento uguale o inferiore a 60 minuti vanno valutati i segni vitali per dieci secondi al massimo. Nel caso siano assenti si deve incominciare la rianimazione cardiorespiratoria (RCP). In occasione di un seppellimento superiore a 60 minuti con vie aeree non ostruite si devono valutare i segni vitali fino a un minuto; se assenti va monitorato il tracciato elettrocardiografico prima di muovere l’infortunato; iniziare la RCP in presenza di arresto cardiaco.

In caso di arresto cardiaco va misurata subito la temperatura corporea per via transesofagea: con temperatura uguale o superiore a 30°C si deve defibrillare secondo le raccomandazioni abituali.

Se la temperatura è inferiore a 30°C, si devono effettuare tre scariche con il DAE, non è indicata l’adrenalina. Il paziente va trasportato presso un centro con ECLS, dotato di ECMO. Da applicare l’Hope score.

È seguita una tavola rotonda alla quale hanno partecipato Pierre Metrailler, Beat Walpoth, Marc Blancher, Mathieu Pasquier e Charles-Etienne Plourde, medico canadese, che ha moderato. I partecipanti hanno sottolineato l’importanza della ricerca nel campo dell’ipotermia. Senza dubbio efficace l’utilizzo della checklist. Fondamentale il ruolo della sicurezza a carico delle guide alpine. Importante anche l’autoprotezione. La presenza del sacco contenente tutti i presidi medici sul posto di un incidente da valanga è di rilevante importanza. Importanti la leadership e la suddivisione dei vari ruoli (chi fa che cosa). Si deve saper lavorare in team (team working). L’équipe di soccorso deve essere molto bene coordinata e ben preparata (training).

Giacomo Strapazzon, direttore dell’Istituto per la Medicina di Emergenza in Montagna dell’Eurac di Bolzano, è intervenuto per parlare di “Environmedics-traumatology and climate change”. La presentazione descrive le conseguenze sulla salute nelle aree di montagna (health impact chain) in occasione di disastri idrogeologici e di incidenti provocati da valanghe, soprattutto guardando al futuro e in relazione al cambiamento climatico in atto. Le Alpi sono particolarmente sensibili agli effetti del cambiamento climatico. Nel corso della Pandemia da Covid-19 gli interventi di soccorso in montagna sono diminuiti di circa il 75%. Strapazzon ha voluto ricordare la figura del compianto medico americano Paul Auerbach, autore con Jay Lemery del libro “Enviromedics, the impact of climate change of human health” che descrive l’impatto dei cambiamenti climatici sulla salute dell’uomo. Esiste il rischio di una diminuzione della sicurezza nelle aree montane e di un maggior numero di incidenti dovuti a eventi estremi. Inoltre, si può prospettare il pericolo di un sovraccarico di lavoro per il sistema sanitario. ll relatore ha, poi, parlato dello studio scientifico effettuato da Mario Milani, medico del CNSAS, sugli incidenti accaduti ai volontari del CNSAS sia nel corso delle esercitazioni sia durante le normali missioni di soccorso in montagna. L’utilizzo dei droni agevola le operazioni di ricerca in montagna, riducendo i tempi. Le caratteristiche della neve cambiano con il cambiamento climatico. Le valanghe sono formate da neve umida e pesante. Studi effettuati sul terreno hanno dimostrato che una neve più bagnata e compatta crea problemi alla respirazione pur in presenza di un air pocket artificiale. Strapazzon ha ricordato l’incidente avvenuto il 3 luglio 2022 in Marmolada in seguito al distacco di una grossa massa di roccia e ghiaccio da Punta Penia che ha provocato morti e feriti. I temporali estivi di grosse dimensioni possono causare situazioni difficili da affrontare dai soccorritori a causa della grande quantità di acqua che stravolge i corsi d’acqua. Occorrono speciali sedute di training per le squadre di soccorso, che si devono adattare a situazioni ambientali molto rischiose.

Il medico deve operare con estrema lucidità per poter dare il meglio di sé.

Juan Llor, chef de Service de Pédiatrie de l’Hôpital de Sion, ha parlato dell’ipotermia del bambino, nel quale la dispersione di calore corporeo è maggiore rispetto all’adulto. La pelle funziona da radiatore (75% a livello della testa). Il bambino consuma più calorie. Tra il 2006 e il 2023 presso l’ospedale di Sion vi sono stati alcuni casi di ipotermia in bambini: 32 con temperatura inferiore a 35°C, 4 con temperatura inferiore a 32°C, 2 con temperatura inferiore a 28°C, questi ultimi vittime di incidenti da valanga. Cinque sono stati gli incidenti in montagna. Nel bambino viene utilizzata la classificazione svizzera della valutazione dell’ipotermia (leggera, moderata, severa). Il metabolismo basale si abbassa, l’ipotalamo manda un segnale per provocare la comparsa del brivido. Nell’ipotermia si verificano bradicardia, tachipnea, vasocostrizione, diminuzione della contrattilità del miocardio e comparsa di aritmie. Nell’ipotermia severa il bambino può andare incontro a un arresto cardiaco, causato dall’ipossia o dall’acidosi. Anche nel bambino l’ipotermia accidentale senza asfissia presenta una prognosi migliore. Si può somministrare una soluzione isotonica riscaldata a 43°C.

Le amine possono essere somministrate se la temperatura supera i 32°C. Va effettuato il dosaggio del potassio serico. La defibrillazione risulta difficile se la temperatura è inferiore a 30°C. Molto utilizzato è l’Hope score nella valutazione di un bambino ipotermico. Il riscaldamento può essere passivo, attivo esterno, interno o tramite ECMO. L’ipotermia può essere causata anche dall’annegamento. La durata dell’immersione nell’acqua è un fattore prognostico importante. Il riscaldamento più lento non sembra migliorare la prognosi. Non esistono attualmente linee guida per il bambino in stato di ipotermia.

Claudio Artoni, membro della Commissione Valanghe della Cisa-Ikar, del Servizio Valanghe Italiano (SVI) e dell’American Avalanche Association, ha presentato una relazione dal titolo “Snow and avalanches in a changing world”. L’attività delle valanghe con neve umida e di scivolamento a tutto spessore è aumentata nel corso della stagione media invernale a partire dal 1952 fino al 2013. Il riscaldamento del clima genera la formazione di croste sul manto nevoso provocate dalla pioggia che facilitano lo sviluppo di strati fragili e grandi valanghe a lastroni nel corso della stagione invernale avanzata. Le valanghe con neve umida diventano più frequenti. Inverni più umidi possono portare a un maggior numero di valanghe nei mesi di febbraio e marzo. Il distacco delle valanghe dipende da come la struttura del manto nevoso si accumula nel tempo. Le precipitazioni nevose particolarmente intense inducono valanghe di tipo estremo. Il concetto di “sicuro” è cambiato in modo drastico nel corso degli ultimi anni. Le variazioni della sopravvivenza sono correlate alle diverse caratteristiche della neve. Il cambiamento climatico può condizionare la sopravvivenza del travolto in valanga. Le caratteristiche delle curve di sopravvivenza risultano dalla combinazione di effetti del clima, misure adottate per diminuire gli incidenti da valanga, miglioramento delle cure mediche, trend delle attività di tipo ricreazionale in montagna. L’aumentata densità della neve ostacola la respirazione e causa asfissia nelle vittime di valanga. La presenza di sabbia proveniente dal deserto sul manto nevoso altera la neve. Le stazioni sciistiche situate al di sotto dei 1300 metri sono destinate a sparire in futuro. Esiste l’App Snow Scope che serve a fornire lo spessore del manto nevoso (mountainsnow.org/home). Nei climi marittimi (Canada) si verificano incidenti causati da valanga con maggior incidenza di traumi, provocati dalla neve più umida e dalla presenza di zone boscate. Nei climi continentali la neve è meno umida e le foreste si trovano a più bassa quota, quindi, il rischio di infortuni è minore. L’estrazione di un travolto da una valanga di neve umida richiede uno sforzo maggiore e un maggior numero di soccorritori. Il distacco di valanghe estreme può causare seppellimenti molto profondi, che richiedono speciali tecniche. Le valanghe di neve umida possono distruggere o interferire con le vie di comunicazione, causando ritardi per i mezzi che devono raggiungere il luogo di un incidente. L’impatto di valanghe catastrofiche sulle popolazioni locali sarà sempre più importante (Himalaya, Karakoram, Ande). Le alte temperature e la scarsità di neve hanno portato a un maggiore scioglimento del ghiaccio. L’acqua penetra tra il ghiaccio e la roccia (englacial water pocket) con effetto destabilizzante e il conseguente crollo di una parte del ghiacciaio. L’aumento delle temperature e lo scioglimento del permafrost determinano numerosi distacchi di roccia e ghiaccio nel periodo estivo, come già accaduto in Marmolada.

Luigi Festi, vicepresidente della Società Italiana di Medicina di Montagna, ha, poi, parlato di “Climate change: new technologies and education, the role of high academy training in mountain emergency medicine” per illustrare come i cambiamenti climatici stiano condizionando la sanità e il soccorso in montagna e come le nuove tecnologie si stiano diffondendo, con l’avvento della telemedicina. Il soccorso in montagna deve sapersi adattare alle innovative e avanzate tecnologie, migliorando il grado di addestramento e di formazione. È richiesto un maggiore impegno anche a causa dell’elevato numero di persone che frequentano le montagne. I rifugi dovrebbero essere importanti punti di riferimento e di primo soccorso in caso di incidente in montagna. Festi ha fatto presente la diversità dei soccorsi tra Europa e America, dove le distanze sono molto più grandi e i trasporti degli infortunati richiedono più tempo. Negli USA non sempre si trovano a bordo di un elicottero un medico o un infermiere. In situazioni estreme il successo di un soccorso dipende dalla efficienza della comunicazione, dal team work e dalla leadership. Attualmente è possibile organizzare corsi di training, utilizzando simulatori, come avviene presso l’istituto di Medicina di Emergenza in Montagna dell’Eurac di Bolzano con TerraXCube, un simulatore dove è possibile riprodurre situazioni ambientali estreme. Lo “Sherpa Project” prevede l’utilizzo di droni e robot per la ricerca in valanga di persone sepolte o disperse, garantendo una maggior sicurezza ai soccorritori. Si sta pensando all’utilizzo dell’intelligenza artificiale e al machine learning nel soccorso in montagna.

Pierre Huguenin dell’Institut pour l’étude de la neige et des avalanches SLF, ha parlato di “Evolution du climat, nivologie et activité avalancheusespontanée?” Si sta verificando una diminuzione del numero di valanghe “secche”, con aumento del numero dei giorni con valanghe “umide” al di sopra del limite della vegetazione. Vi è una piccola diminuzione del numero totale di giorni con rischio di valanga al di sopra della vegetazione. Sempre più frequentemente d’inverno piove sul manto nevoso. Il clima è in evoluzione e crea importanti cambiamenti ambientali. Potrà essere utile l’uso della intelligenza artificiale.

È seguita una tavola rotonda alla quale hanno preso parte Luigi Festi, Giacomo Strapazzon, Claudio Artoni, Pierre Huguenin e Ludovic Ravanel. Il periodo dell’anno in cui effettuare escursioni di sci-alpinismo è cambiato come pure le condizioni della neve. Anche il tipo di traumatologia è cambiato negli incidenti di montagna. Emerge la necessità di sapersi adattare alle nuove condizioni. Molte sono le persone che ora frequentano la montagna, talvolta male equipaggiate e poco consapevoli dei rischi o dei pericoli. È di fondamentale importanza la prevenzione degli incidenti da valanga. Una scarsa presenza di neve all’inizio dell’inverno può essere rischiosa. I repentini sbalzi di temperatura nell’arco di una giornata possono essere pericolosi per il distacco di valanghe. La morfologia dei ghiacciai si sta trasformando e lo spessore del manto nevoso può aumentare i traumi. Anche il materiale usato nel soccorso in montagna deve modificarsi, adattandosi alle nuove condizioni. Cambia anche la percezione del rischio. Anche le condizioni meteo si alterano in modo più repentino.

Ludovic Ravanel, guida alpina ed esperto di evoluzione dei paesaggi alpini di Chamonix, ha parlato di “Changement climatique en haute montagne, types d’accident et préconisation pour le sauvetage”. Alcuni settori del massiccio del Monte Bianco vanno sorvegliati a causa della recente evoluzione dell’alta montagna dovuta alla degradazione del permafrost. Vanno valutati gli indici di una eventuale imminenza di frane o di crolli di roccia. Si assiste alla progressiva o improvvisa apertura di fessure, di circolazione di acqua nelle pareti. La comparsa di alcuni segni predice crolli. I pendii, con la scomparsa del ghiacciaio, diventano più ripidi. Vi è un aumento di cadute di pietre, le rocce emettono, talvolta, scricchiolii, ghiaia e sabbia circolano all’interno delle fessure. Per limitare e prevenire il pericolo occorre imparare a conoscere i segni che precedono la destabilizzazione delle rocce, evitare le zone da poco prive di ghiaccio dove la roccia è molto fratturata. Ci si deve saper adattare al cambiamento della stagionalità.

Pierre Metrailler, anestesista di Sion, ha parlato di “Antalgie en terrain difficile”. L’analgesia è un diritto fondamentale di un ferito. Nel 1974 Bruno Durrer e Urs Wiget hanno parlato dell’importanza della qualità delle cure. Sempre importante è la scelta di un accesso venoso in luoghi freddi e poco confortevoli. La via di somministrazione di un farmaco può avvenire per via venosa, intranasale, intramuscolare, sottocutanea, per inalazione i loco-regionale. Il dosaggio della ketamina nel dolore acuto deve essere uguale o inferiore a 0,3 mg./Kg. Il fentanyl può essere somministrato per via intranasale nel bambino. Può essere utilizzato il methossifluorano per via inalatoria. Il midazolam funziona come analgesico (1 mg).

Marie Anne Magnan, medico del Département de Médicine Aigue des Hôpitaux Universitaires de Genève, ha parlato di “Les gélures”. Si tratta di una patologia piuttosto rara. La prognosi dipende dal danno arrecato alla struttura ossea. Il congelamento può colpire i praticanti le attività outdoor, i pazienti psichiatrici, le vittime di incidenti del lavoro o domestici, i migranti, la popolazione urbana. Si distingue una fase di raffreddamento (gel, anossia, gel tissutale), con un processo di cristallizzazione e la formazione di microcristalli. Segue la fase di riscaldamento (sindrome ischemica, riperfusione, decristallizzazione) accompagnata da dolore. La classificazione dei congelamenti, che va fatta entro 12-24 ore, subito dopo il riscaldamento, è quella messa a punto da Emmanuel Cauchy del 2001, che prevede quattro stadi. È previsto un protocollo di riscaldamento rapido: immersione in acqua a 38°C per 60 minuti e somministrazione di aspirina per via orale o per via venosa (250 mg). Importante è la valutazione di un congelamento. Gli stadi tre e quattro sono quelli a maggior rischio di amputazione. Utile può essere fotografare la fase iniziale di un congelamento per confrontarlo nel corso delle fasi successive. Non si deve mai riscaldare una lesione per, poi, lasciarla ricongelare e riscaldare nuovamente. In Svizzera funziona “SOS Gélures”, “SOS MAM”, (022-3722244). La scintigrafia al tecnezio è l’esame di riferimento per la stadiazione di un congelamento. Per la terapia si può utilizzare l’aspirina (250 mg) per dieci giorni o ibuprofene. Nei congelamenti gravi si può somministrare Iloprost o effettuare la terapia trombolitica. L’uso dell’eparina è utile nei congelamenti degli arti inferiori. Quando possibile, è utile l’ossigenoterapia iperbarica. Importante è l’idratazione. In corso di trekking o spedizioni alpinistiche qualcuno utilizza la nifedipina, ma non esistono dati scientifici a supporto della sua validità terapeutica. Può essere utilizzata la terapia con il saccone iperbarico o la somministrazione di ossigeno (oltre i 4000 metri di quota con saturimetria inferiore al 92%). Tra i trattamenti adiuvanti: antibioticoterapia e profilassi antitetanica. L’ossigenoterapia iperbarica (OHB) ha un’azione diretta sull’ischemia cellulare, sulla viscosità del sangue e sul microcircolo e un effetto anti-batterico, favorendo la cicatrizzazione dei tessuti (angiogenesi) e la produzione di fibroblasti e di collagene.

Gerold Biner, pilota di Air Zermatt, ha presentato una relazione dal titolo “Helicopter rescues from a different perspective”. Biner ha lavorato per 40 anni a Air Zermatt, effettuando circa 5000 salvataggi in alta quota. Hermann Geiger è stato il pilota svizzero che tra i primi si è occupato di soccorso aereo in montagna. In Francia esiste il PGHM e in Italia la protezione Civile di Aosta. Air Zermatt è nata nel 1968.  Biner ha effettuato molti soccorsi aerei in alta quota in Himalaya a partire dagli anni ’90. Nel 2005 ha lavorato in Turchia e anche in Pakistan, dove ha effettuato un salvataggio sul versante Rupal del Nanga Parbat a 6000 metri di quota, per salvare l’alpinista Tomaz Humar, bloccato in parete. Nel 2009 ha recuperato nel Langtang Lirung il corpo dell’alpinista deceduto in parete a 6000 metri. Tra il 2010 e il 2011 Biner si è occupato di migliorare la preparazione e la formazione dei piloti di elicottero nepalesi portandoli presso la base di Air Zermatt. Ha recuperato alcuni alpinisti bloccati sull’Annapurna a 7000 metri. Ha effettuato interventi di soccorso al campo base dell’Everest a 5300 metri e al Dhaulagiri. Nel 2012 ha realizzato un salvataggio sul Manaslu a 6800 metri di altezza per salvare alpinisti travolti da una valanga. Nel 2015 ha partecipato alle operazioni di soccorso in occasione del terremoto che ha colpito la popolazione del Nepal.

Ludovic Ravanel, ricercatore dell’Université Savoie Mont Blanc, ha parlato di come stanno cambiando i ghiacciai francesi in seguito al cambiamento climatico. Sono diminuiti di spessore. L’accesso ai rifugi è divenuto più difficile. Alcuni bivacchi sono crollati (Les Périades, La Fourche, Sberna e Meneghello). Il relatore ha fatto presente che alcuni itinerari descritti dall’alpinista francese Gaston Rebuffat in un suo libro non sono più praticabili a causa dei cambiamenti avvenuti.

Circa un quarto degli itinerari descritti da Michel Vaucher nel libro “Les Alpes Valaisannes” non è più frequentabile. Il cambiamento della copertura glacio-nivale ha creato grossi cambiamenti, in particolare la parete dello Shivling in Himalaya, il Linceul delle Grandes Jorasses, la parete Nord della Tour Ronde. Il Triangle du Tacul ha perso parte della sua parete in seguito a un crollo. Da ricordare il crollo (valanga di roccia) di una parte della parete del pizzo Cengalo avvenuto il 23 agosto 2017 in Val Bregaglia, Svizzera, che ha causato la morte di alcuni escursionisti e grossi danni. Tutto ciò avviene in seguito allo scioglimento del permafrost. Tra il 2007 e il 2022 nel massiccio del Monte Bianco si sono verificati 1671 crolli, come nel caso dell’Éperon Tournier dell’Aiguille du Midi nel settembre 2017. Presso l’Aiguille du Midi è stato creato un laboratorio per lo studio del permafrost; mediante l’utilizzo di un radar si esamina la stabilità della roccia. La tipologia degli incidenti in montagna non è più la stessa del passato. Le guide alpine devono sapersi adattare al cambiamento in atto. Si trasformani la stagionalità, il tipo di attività praticata e i luoghi dove viene effettuata. Occorrono una maggiore reattività e una maggiore attenzione da parte dei frequentatori della montagna.

Jasmine Lienert, Rebecca Frieden, Nicole Grange-Berthod, Alice Coldefy e Flore Dussey hanno preso parte a una tavola rotonda sabato 20 gennaio per parlare del ruolo della donna in montagna. Nicole Grange-Berthod è una guida alpina di alta montagna, appassionata di arrampicata dall’infanzia. Alice Coldefy appartiene al PGHM di Chamonix ed è guida alpina, appassionata di alpinismo. Ha trascorso un periodo all’isola della Reunion e attualmente presta servizio a Chamonix. Jasmine Lienert, medico, è presidente del GRIMM e lavora presso la base di Air Glaciers a Sion. Rebecca Frieden è infermiera di Air Zermatt, prima donna paramedico della società svizzera.

Rebecca, che ha trascorso un periodo di lavoro in Alaska, ha voluto dire che negli USA non vi è alcuna differenza tra gli uomini e le donne che operano nel soccorso in montagna; ciò che conta e fa la differenza è la competenza, ma si tratta anche di avere più fiducia nelle donne. Importante è saper lavorare in équipe. La forza fisica non è tutto. Esiste anche la forza della mente. Nicole ha fatto presente che a Chamonix è l’unica donna che lavora nel PGHM con 40 uomini. Attualmente sono sempre più numerose le donne che esercitano la professione di guida alpina. A volte per un fatto culturale le donne vengono considerate inferiori all’uomo. Gli uomini devono imparare a lasciare più spazio alle donne. Le donne sono, forse, più empatiche. Esiste ancora un tipo di cultura molto arcaico che non vuol credere nelle donne.

Jacqueline Pichler Hefti, pneumologa della Swiss Sportclinic di Berna, ha presentato una relazione dal titolo “Do women get more mountain sickness at high altitude?”. Oltre cento anni fa le donne hanno iniziato a frequentare la montagna, come l’alpinista britannica Lucy Walker, già attiva nella seconda metà dell’Ottocento, o Dorothy Pilley, pure inglese. Tra il 1953 e il 1989 una media di 2,5 (4,5%) donne all’anno è salita sulla cima dell’Everest, tra il 1990 e il 2005 il numero è salito a 24,8 per anno (9,1%), mentre tra il 2006 e il 2019 la media è salita a 52,7 per anno (14,6%). Nel 2021 la percentuale di donne iscritte al Club Alpino Svizzero è del 40,2%. Nell’ambito dell’UIAA si è creato un gruppo di donne medico che si interessa dei problemi della donna in montagna: gravidanza, menopausa, contraccezione, nutrizione, patologie causate dal caldo e dal freddo, malattie provocate dall’alta quota. Nel 2022 è stato organizzato presso la capanna Diavolezza (2970 metri) in Svizzera un convegno dal titolo “Women going to altitude”. Il male acuto di montagan (AMS) è caratterizzato da cefalea, nausea e fatica. Ha una prevalenza a 2500 metri di quota dal 10 al 25% e al di sopra dei 4500 metri di oltre il 50%. Ha una latenza di 6-12 ore, dipendendo dalla quota e dalla velocità di ascesa. L’edema cerebrale d’alta quota (HACE) presenta sintomi di tipo neurologico e compare di solito dopo due giorni passati a oltre 4000 metri. Ha una prevalenza dello 0,5-2%. Nelle donne esistono 35 studi sull’AMS e quattro sull’HACE. L’edema polmonare d’alta quota (HAPE) non ha un’origine cardiogenica. Compare oltre i 2500-3000 metri. Ha una prevalenza tra lo 0,2 e il 6% a 4500 metri e del 15% a 5500 metri. Un incremento non omogeneo della pressione sanguigna a livello polmonare porta a un danno dei capillari. Esistono solo sette studi sulle donne. La presenza dell’84% di casi di HAPE tra gli uomini sembra riflettere una loro aumentata sensibilità. Uno studio retrospettivo effettuato in periodo invernale sulle montagne del Colorado (USA) di 46 casi di HAPE tra il 1975 e il 1982 a una quota di 2500 metri ha evidenziato una percentuale del 7% (tre casi) tra le donne e del 93% tra gli uomini (43 casi). La prevalenza tra gli uomini è stata di 10/100.000 e nelle donne di 0,74/100.000. Sembra che la minore vasocostrizione polmonare ipossica e il tipo di risposta ventilatoria ipossica nelle donne dipendano dagli ormoni femminili. Tra le criticità il fatto che molti uomini si espongono all’ipossia ipossica e che la maggior parte degli studi sono stati realizzati sugli uomini. Diverso è il comportamento degli uomini rispetto alle donne nell’affrontare le insidie della montagna. L’appartenenza di genere non sembra essere un fattore di rischio per AMS e HACE. A incidere, ci sono numerose variabili individuali.

Susi Kriemeler, pediatra dell’Institut of Epidemiology, Biostatistics and Prevention dell’Università di Zurigo e presidente della Society of Pediatric Sports Medicine, ha parlato di “Specific women health problems in mountain medicine”. Non esistono attualmente studi sull’ipotermia e sui congelamenti in alta quota riguardanti le donne. Le statistiche riferiscono tra le donne alpiniste una percentuale di mortalità sull’Everest di sei per 1000 (1,6%), sul Denali 3 su 1000 (0,3%), sull’Aconcagua di 0,8 su 1000 (0,08%), sul Kilimjaro 0,2 su 1000 (0,02%). Gli ormoni e i contraccettivi ormonali non sembrano influenzare l’acclimatazione, la performance cardio-polmonare e lo sviluppo dell’incidenza dell’AMS, ma sembrano avere un effetto sul rischio trombotico e sulla formazione di emboli, sulla coagulabilità del sangue, accresciuto anche da stasi venosa, ipossia, immobilizzazione, disidratazione, emoconcentrazione, freddo e indumenti troppo stretti.  Il ciclo mestruale spesso si interrompe in alta quota a causa dell’ipossia, dell’affaticamento fisico intenso, del freddo, del dispendio energetico, dello stress. Ma le mestruazioni possono ricomparire dopo l’acclimatazione o essere molto irregolari. Gli anticoncezionali a base di estro-progestinici sono pratici da utilizzare perché possono essere assunti in continuazione per mesi, e, oltre a evitare una gravidanza, risparmiano il disagio legato alle mestruazioni.

Per quanto riguarda le complicazioni della gravidanza in montagna, fanno parte dell’elenco il sanguinamento, il parto pre-termine, la rottura di placenta o il distress respiratorio del neonato. Tra le controindicazioni all’andare in montagna: ipertensione arteriosa cronica, pre-eclampsia, alterata funzione della placenta (previa, parziale distacco), ritardo di crescita intra-uterina del feto, malattie cardiache o polmonari della madre, anemia e tabagismo.

Il rilascio di ossigeno al feto in alta quota è conservato. Pochi sono i dati esistenti sul rischio di esposizione di breve durata all’alta quota. Viaggi in alta quota tra 3000 e 4000 metri con cautela e buon controllo di sé dovrebbero essere sicuri in donne sane con gravidanze fisiologiche. È consigliabile acclimatarsi prima di fare attività in alta quota. Pochi sono gli studi riguardanti le donne in menopausa. Poco si sa anche su brevi periodi di esposizione all’alta quota nelle donne in menopausa. La menopausa sembra avere scarso effetto sulle malattie di alta quota. Le donne in menopausa presentano un aumentato rischio di infezioni delle vie urinarie. Si deve prestare particolare attenzione all’osteoporosi che colpisce la maggior parte delle donne dopo la menopausa.

Nina Kaprez, arrampicatrice professionista, ha presentato una relazione dal titolo “Evolution d’une sportive de haut niveau à travers la maternité”. La relatrice ha parlato della sua esperienza prima e dopo la gravidanza, del cambiamento di vita, di come ha dovuto stabilire delle priorità, utilizzando il buon senso. Nina ha arrampicato fino a sei settimane prima del parto. Ha raccontato che la gravidanza è stata un’esperienza meravigliosa e unica. Dopo la gravidanza l’atleta si è sentita più forte, continuando l’attività sportiva di professionista.

Sandrine Ackermann, ginecologa svizzera del CHUV di Losanna, ha parlato di “Entrainement, performance et cycle menstruel”. L’88% delle atlete ritiene che allenamento o prestazione fisica vengano condizionati dal ciclo mestruale, mentre  l’82% non è mai stato informato ufficialmente da un esperto circa i suoi effetti sulla performance. Alla fine del 2019 è stato creato in Svizzera il progetto “Femmes et sport d’élite” per informare e sensibilizzare le atlete circa temi importanti come il ciclo mestruale, il deficit cronico di energia, il pavimento pelvico, la gravidanza. L’intento è anche di sostenere lo sviluppo della performance e di mantenere la buona salute delle atlete. Il menarca compare in media a 12 anni. L’amenorrea primaria si verifica quando vi è assenza di menarca a 16 anni. I primi cicli possono essere irregolari (18-24 mesi). È considerata normale una durata del ciclo compresa tra 21 e 35 giorni. La durata normale delle mestruazioni è da 1-2 a 7 giorni. La perdita media di sangue è 30-40 ml., con un massimo di 80 ml. Gli estrogeni fanno crescere i muscoli, producono la serotonina, l’ormone del buon umore, contribuiscono allo stoccaggio dei grassi, diminuiscono la resistenza dei legamenti, solidificano le ossa, migliorano il recupero muscolare, favoriscono il deposito di energia (glicogeno). Il progesterone favorisce il catabolismo dei muscoli, migliora il sonno, rallenta la digestione (costipazione, dilatazione addominale), aumenta il consumo di energia (glicogeno), incrementa la temperatura del corpo, ha un effetto ansiolitico. Le prestazioni delle donne sono sempre fisiologicamente inferiori rispetto a quelle degli uomini a parità di allenamento. Grazie al testosterone gli uomini sono dotati di una maggiore massa muscolare e, quindi, di una forza massimale maggiore. Gli uomini hanno un cuore più grosso, un contenuto di emoglobina più elevato e una capacità glicolitica più alta. Ciò permette loro di distanziare le donne nelle discipline che richiedono forza, nella corsa rapida o di endurance fino a un certo punto. Per contro, nelle distanze più lunghe (ultratrail), quando il corpo ha bisogno di utilizzare il metabolismo dei grassi, per produrre energia, la donna diventa più efficiente e, dunque, più resistente. Le donne sono avvantaggiate negli sport che necessitano di grande agilità dal momento che gli estrogeni conferiscono loro una maggiore elasticità. I vantaggi del tracking: migliore conoscenza del corpo, poter anticipare i cambiamenti, adattamento all’allenamento secondo le fasi del ciclo (per la donna), necessità di analizzare per un minimo di tre mesi prima di tirare delle conclusioni. Mediante il monitoraggio del ciclo mestruale la donna può comprenderne e interpretarne i fondamenti biologici, scoprendo come influenza la prestazione fisica e la salute. I risultati del monitoraggio e le conoscenze che ne derivano non valgono per tutte le donne perché gli effetti del ciclo mestruale variano da una donna all’altra. Le atlete che non assumono i contraccettivi nel corso della prima fase del ciclo sviluppano la forza massimale prima dell’ovulazione, mentre nella seconda fase devono diminuire il volume di allenamento di forza, investendo in coordinazione, prevenzione e tecnica. È consigliato compilare un registro delle mestruazioni, controllare periodicamente la sideremia, tenere conto della variabilità della frequenza cardiaca durante il ciclo mestruale.

 L’amenorrea è un’eventualità possibile nelle donne che praticano sport ad alti livelli. Le turbe del ciclo delle atlete sono di origine ipotalamo-ipofisaria. Vi sono un’alterazione della secrezione del GnRH (Gonadotropine Releasing Hormone) e della secrezione di LH e una cattiva regolazione degli ormoni ovarici. L’amenorrea della sportiva avviene negli sport di endurance, nel pattinaggio artistico, nella ginnastica artistica e negli sport che richiedono sforzi intensi. Non vi è rischio di amenorrea negli sport tecnici (golf, curling, equitazione, tiro) o negli sport che usano la palla. La massa grassa gioca un ruolo importante nell’equilibrio del ciclo ormonale. Il deficit di energia cronico (LEA), dovuto a una bassa disponibilità di energia, determina una inibizione dell’asse ipotalamo-ipofisario. Tale situazione si verifica se l’apporto energetico è insufficiente o se il consumo energetico è troppo elevato. Ciò comporta conseguenze: rischio di ferite, calo della prestazione sportiva, effetti psicologici, oligo/amenorrea, effetti sull’apparato endocrino, effetti sull’apparato cardiovascolare. L’apporto ottimale di energia è di 45 kcal/Kg. di massa magra per giorno. Esiste una grande variabilità interindividuale. Nel corso del ciclo normale il dispendio energetico è bene compensato dall’apporto nutrizionale. Nell’insufficienza luteinica il deficit energetico è moderato e temporaneo. Nella assenza di ovulazione si verifica un’alternanza tra periodi equilibrati e periodi accompagnati da carenza di energia. Si tratta di disturbi molto frequenti tra le donne sportive, sotto diagnosticati perché asintomatici (79% tra le atlete e 9% tra la popolazione normale). L’oligomenorrea e l’amenorrea vengono provocate da un deficit di energia di tipo cronico.

Per quanto riguarda la salute dell’apparato scheletrico, il 90% della massa ossea viene acquisita prima dei 18 anni. Se tale capitale non viene accumulato per tempo, non può essere compensato più tardi e può aumentare il rischio di osteoporosi precoce con conseguenti fratture da fatica.  L’attività fisica migliora la densità ossea, ma solo se l’apporto energetico è sufficiente.

In conclusione la donna si è creata uno spazio nello sport, ma persistono ancora importanti inegualità e alcuni tabù.

Stacy Sims ha affermato che “le donne non sono piccoli uomini”. Occorre tenere conto della psicologia femminile. Il deficit di energia cronico è difficile da diagnosticare: le atlete non ne parlano e gli allenatori e il mondo medico sono spesso male informati. Tra le conseguenze più importanti la perdita della densità ossea, che può essere irreversibile. Il migliore approccio è rappresentato da una valutazione multidisciplinare, che porti ad adattare il dispendio energetico alla reale condizione fisica dell’atleta e al suo stile di vita nel complesso.

 

11.02.24