Soccorso in montagna: gli esperti fanno il punto.

In un webinar si è discusso della possibilità che cambiamenti climatici e maggiore frequentazione della montagna modifichino la percezione dei rischi a cui espongono le escursioni. Ma non solo.

 

Lunedì 24 maggio 2021 alle ore 20,30 la Fondazione Montagna Sicura di Courmayeur ha organizzato un webinar dal titolo Quale futuro per il soccorso in montagna? Come i cambiamenti climatici e il sovraffollamento delle montagne potranno cambiare la percezione del rischio.

Ne ha parlato Luigi Festi, chirurgo toracico dell’Ospedale di Varese e Programme Director del Master in Medicina di Emergenza in Montagna dell’Università dell’Insubria di Varese e di Milano Bicocca. Il relatore ha effettuato una carrellata sulle varie esperienze del soccorso in montagna degli ultimi anni e su quale potrà esserne il futuro dopo la pandemia. Mai come quest’anno così tante persone hanno raggiunto la vetta dell’Everest. Nonostante la minaccia del Covid-19, circa 1600 alpinisti si trovano in questi giorni accampati al campo base della montagna.

 Dall’inizio della pandemia si è verificata una riscoperta della montagna da parte della gente comune, spesso priva della necessaria esperienza per affrontare un ambiente difficile come quello alpino. Si è assistito a un cambio radicale nell’approccio alla montagna senza visione e consapevolezza dei rischi conseguenti.

 

Il Master a Varese

 

Oltre dieci anni fa è nato, a cura dell’Università dell’Insubria di Varese, un corso internazionale per formare medici e infermieri in medicina di emergenza in montagna. Il Master di Medicina di montagna è nato per creare figure sanitarie che abbiano competenze nel campo della medicina di montagna e del soccorso in montagna in ogni parte del mondo. Una figura di sanitario che sappia muoversi e operare nell’ambiente di montagna.

Per montagna si intende un’elevazione oltre 610 metri, un luogo impervio dove la vita risulta più difficile. Vi sono persone che vivono e lavorano e si ammalano in montagna ed altre che ci vanno per svago. La frequentazione della montagna può avvenire anche per motivi sportivi, come accade per gli sport estremi, che richiedono una particolare attenzione da parte del soccorso alpino. Durante lo scorso anno abbiamo assistito a affollamenti in luoghi ristretti, con una conseguente riscoperta della montagna, accompagnata da scarsa consapevolezza e da un’alterata percezione del rischio e del pericolo.

 

I cambiamenti nel soccorso

 

 Negli ultimi anni si sono verificati eventi catastrofici dovuti ai cambiamenti climatici in atto. Tutto ciò ha impattato sulle modalità degli interventi del soccorso in montagna, che si sono in parte modificati rispetto al passato.

L’organizzazione territoriale della sanità è simile in tutta Europa. Si basa su grossi ospedali (Hub Hospital) con tutte le specialità come per esempio Berna e Aosta, e piccoli ospedali (Spoke hospital: I Level e II Level) in grado di gestire pazienti in stagioni e situazioni differenti. Vi sono ospedali flessibili che si devono adattare ai flussi turistici. Si deve far fronte a decine di migliaia di persone che d’estate e d’inverno si riversano sulla montagna. Nel corso del World Economical Forum, un evento mondiale che si svolge ogni anno a Davos in Svizzera, quando tutti i potenti della terra si riuniscono per discutere di economia, l’ospedale della cittadina svizzera deve essere in grado di far fronte a qualsiasi evenienza sanitaria. Ecco perché un piccolo ospedale come quello di Davos in Svizzera deve disporre di grandi attrezzature sanitarie.

Negli Stati Uniti esistono spazi ampi e poco popolati con punti avanzati di primo soccorso. Nel Grand Canyon i flussi turistici sono molto elevati e necessitano di punti di primo intervento (point of care) bene organizzati.

 

Il soccorso d’eccellenza

 

Air Zermatt rappresenta un’eccellenza nel campo dell’elisoccorso in Svizzera. Ha organizzato nel corso di 50 anni 40.000 interventi e 12.000 soccorsi con utilizzo di verricello. Le missioni di soccorso sono veloci ed efficienti grazie al supporto di mezzi poco ingombranti e rapidi. La filosofia degli interventi si basa sul “Load, treat and go”. Vengono praticati sul campo solo gli interventi medici strettamente necessari e, poi, durante il trasporto in ospedale il paziente viene stabilizzato, secondo i protocolli standard fondamentali (ABCDE), trattato per il dolore e trasportato nell’ospedale ritenuto più idoneo per ciascun caso. Nell’ambito dell’organizzazione esiste anche un Training Center: Air Zermatt da anni si occupa, infatti, della formazione degli operatori dell’elisoccorso in tutto il mondo. Si tratta di un sistema agile in cui l’equipaggio dell’elicottero ha delle competenze di movimento sul terreno di alto livello.

 Rega, la Guardia di Soccorso Aereo Svizzera, opera in modo un po’ diverso secondo il principio del “take, treat ang go”. Vengono prestate le cure necessarie al paziente sul luogo dell’incidente prima di procedere al trasporto in ospedale che viene scelto in base alla gravità del caso.

 

USA: una gestione spesso complicata

 

Negli Stati Uniti la situazione è diversa a causa della vastità del territorio e delle distanze. Il paziente viene gestito in base al principio del “load and go” (caricare e trattare a bordo dell’elicottero). Viene fatto salire sull’elicottero assistito da un medico o da un paramedico e trattato in caso di gravi emorragie o problemi alle vie respiratorie e trasportato in ospedale.  L’Università del New Mexico, per esempio, ha esperienza nel soccorso in montagna, praticato sulle Sandia Mountains, dove si verificano fenomeni climatici importanti e dove a volte è difficile muoversi.

In Alaska nella zona del Mount Denali è presente, da agosto a settembre, un unico elicottero del soccorso con a bordo solo il pilota, il quale si deve occupare della ricerca dei dispersi e del trasporto dell’infortunato (o degli infortunati) in un punto da cui verrà prelevato e accompagnato in ospedale.  Questa seconda fase dell’operazione viene effettuata da un elicottero medicalizzato. Fondamentale nel soccorso in montagna è la comunicazione, che deve essere efficace e veloce, in grado di consentire un intervento altrettanto veloce ed efficace, anche se questo non sempre è garantito, specialmente negli Stati Uniti.

In generale, esistono nel soccorso in montagna alcune criticità da affrontare: grandi distanze (Stati Uniti, Canada), terreno impervio, condizioni atmosferiche avverse, difficoltà nella comunicazione, interazioni tra elisoccorso e soccorso terrestre. Oltre a questo, l’elisoccorso si trova alle prese con altitudine, volo notturno, equipaggio, necessità di trattare l’infortunato a bordo. A questo si aggiunge che il troppo carico può ostacolare le manovre dei soccorritori e anche rappresentare un ulteriore fattore di rischio.

 Mentre nelle regioni alpine quasi sempre sull’elicottero si trovano un medico o un paramedico e una guida alpina che opera sul terreno e che garantisce una maggior sicurezza, negli Stati Uniti non sempre ciò si verifica. È auspicabile quale obiettivo futuro per il soccorso in montagna una migliore efficacia, supportata da mezzi di ultima generazione in grado di permettere il trattamento dei pazienti in elicottero.

 

La situazione in Italia

 

In Italia esistono piccoli ospedali (spoke) non all’avanguardia tecnicamente, ad eccezione di Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta. A volte il basso numero di incidenti, la presenza di attrezzature obsolete, senza mezzi diagnostici di ultima generazione e l’inesperienza del personale sanitario rappresentano una criticità in alcune zone di montagna. La qualità delle cure ne può risentire e questo vale anche per gli abitanti delle zone alpine che, oltretutto, non sempre hanno la possibilità economica di raggiungere un ospedale più efficiente ed attrezzato.

 La medicina del territorio dovrebbe essere capillare e tecnologicamente avanzata. Una valida alternativa può essere costituita dalla figura del medico di montagna, un supporto nel campo della prevenzione e del trattamento delle patologie croniche tipiche della popolazione anziana locale. Il medico di montagna può intervenire in caso di trauma o di malattia, nel primo soccorso e durante il trasporto di un ferito. Inoltre, può essere di aiuto anche in tutte le altre operazioni di intervento d’urgenza, incluse quelle di elisoccorso.

 Tra gli interventi riguardanti la prevenzione ci sono la manutenzione dei sentieri e dei rifugi. In questi ultimi va rispettata l’igiene ed è importante collocare defibrillatori portatili, quindi è fondamentale che custodi e guide alpine ricevano una educazione sanitaria (corsi di formazione BLSD). Fondamentale è fare entrare la cultura del soccorso tra la gente comune. Basilare il ruolo che sta assumendo la telemedicina sul territorio montano.

 Il rifugio può rappresentare il primo punto di intervento in caso di incidenti o di malori. Base anche per la comunicazione da remoto e per la telemedicina ed eventuale punto di triage per eventi catastrofici. Esiste la possibilità di interagire con degli esperti e di fare formazione all’interno del rifugio. La diffusione della banda larga rappresenta una potenzialità straordinaria nella gestione della telemedicina, sempre più diffusa dopo la pandemia. Sono state introdotte strumentazioni portatili leggere in grado di trasmettere dati a distanza e con la possibilità di geo-localizzare i pazienti. Oggi esistono anche molte applicazioni digitali che aiutano a monitorare i pazienti.

La diffusione della rete 5G è in grado di gestire da remoto situazioni di pericolo o di emergenza e vi è perfino la possibilità di effettuare interventi chirurgici da remoto in luoghi impervi.

Altra grande realtà innovativa è l’utilizzo dei droni. Lo Sherpa Project ha portato alla creazione di un sistema di supporto al soccorso in montagna basato sull’uso di droni, robot e aeromodelli ad ala fissa in grado di raggiungere il luogo in cui si è staccata una valanga o di localizzare persone sepolte dalla massa nevosa, garantendo una maggiore sicurezza per i soccorritori. L’impiego di questi nuovi mezzi permette anche il trasporto di campioni di sangue o di emoderivati o di cercare sul territorio persone disperse.

 

Il simulatore di Bolzano

 

L’esperienza di Terra X Cube dell’EURAC di Bolzano, una sala di simulazione per creare tutte le più varie situazioni estreme ambientali, costituisce una realtà unica al mondo per consentire la ricerca in ambiente impervio.

Fondamentale è stabilire una collaborazione con enti sanitari, di tutela del territorio, di ricerca accademica. Si deve cercare di creare una rete per la tutela del territorio per meglio affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici. Va sviluppata la capacità di mettere in comune esperienze e ricerca.

Va cercata una nuova prospettiva che metta l’uomo e la sua professionalità al centro dello sviluppo tecnologico indispensabile in un ambiente difficile, in condizioni ambientali mutevoli e pericolose.

 

 Mountain Emergency Medicine: la presentazione del libro

 

Luigi Festi e Hermann Brugger, direttore dell’Istituto di Medicina di Emergenza in Montagna dell’EURAC di Bolzano, sono stati ideatori e promotori del libro da fresco di stampa dal titolo Mountain Emergency Medicine. L’opera è costituita da 648 pagine e 48 capitoli, la stesura ha coinvolto 80 autori di tutto il mondo, i quali hanno messo a disposizione la loro scienza, la loro esperienza, le loro conoscenze. Una pubblicazione completa che riassume lo stato dell’arte in questo complesso campo della medicina: dagli incidenti causati dai fulmini, al salvataggio delle vittime da valanga, alla psicosi indotta dall’alta quota. Un qualsiasi incidente in montagna rappresenta di per sé un’emergenza, anche se ci si trova di fronte a una semplice ferita. Quello che sarebbe necessario, anche per facilitare la telemedicina, è uno scambio di informazioni tra piccoli ospedali, equipe extra-ospedaliere, rifugi, first responders e viceversa.

Di buono c’è che tutti i dispositivi diagnostici (device) stanno divenendo sempre più piccoli: ecofast, ecmo(extracorporeal membrane oxygenation) presenti in alcuni ospedali periferici, defibrillatori portatili trasportabili con droni in luoghi remoti.

Ken Zafren, medico di emergenza di Anchorage, ha supervisionato e resi omogenei i contenuti del libro. Sono state messe insieme esperienze intra e extra ospedaliere in un’antologia ricca e variegata, in cui grande risalto viene dato alla conoscenza, nel significato più nobile del termine.

Hermann Brugger ha ringraziato Luigi Festi per l’entusiasmo avuto nel creare l’opera. L’idea di fare il libro è nata 5-6 anni fa. La medicina di emergenza in montagna è una disciplina molto giovane e rappresenta una nicchia. I primi libri risalgono agli anni ’60. Va ricordata l’opera di Tintinalli, pubblicata nel 1974 e arrivata oggi alla nona edizione, ancora un riferimento per i giovani medici di emergenza.  Le prime pubblicazioni e le prime ricerche nel campo della medicina di emergenza in montagna risalgono agli anni ’80-’90. Bruno Durrer, Urs Wiget e altri medici svizzeri e statunitensi sono stati tra i primi a far ricerche in questo ambito. Ne è nata un sapere solido che ha consentito di costruire un’opera standard relativa alla materia. Negli ultimi 15 anni si è assistito ad un’esplosione della letteratura. Questa branca della medicina ha la sua base nelle Alpi, dove medici e paramedici con una massima competenza nella medicina extra-ospedaliera escono dall’ospedale per partecipare alle missioni di soccorso. In America e in Asia i medici non escono dall’ospedale per partecipare alle missioni di soccorso.

Scopo principale del libro Consente è di raccogliere quanto attualmente si sa di medicina di emergenza in montagna e di divulgarlo in tutti i paesi che ancora non hanno una formazione specifica. Da qui la scelta della lingua inglese. L’opera dovrà essere aggiornata, visto che la branca della medicina di cui si occupa è in continua evoluzione, tant’è che già si pensa a una seconda edizione.

Al termine del suo intervento Brugger ha sottolineato con un certo rammarico l’assenza delle università nella medicina di emergenza in montagna.

 

L’intervento del coordinatore CNSAS valdostano

 

Paolo Comune, capo del CNSAS (Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico) valdostano è intervenuto per illustrare l’organizzazione del soccorso in Valle d’Aosta, che ha preso vita nel ’67 con la prima aviosuperficie al rifugio Monzino in Val Veny. Nel ’78 erano presenti una guida alpina e un medico, quando reperibile. Ora il medico ha una parte centrale nelle missioni di soccorso. I medici affrontano selezioni per far parte del gruppo e seguono sei giornate all’anno di addestramento in quota più un addestramento invernale.  Il campo d’azione del soccorso è molto ampio e comprende canyoning, incidenti in parete, incidenti su impianti a fune, cascate di ghiaccio, crepaccio e valanga. Il medico del soccorso deve saper sciare e arrampicare, scendere in corda doppia, salire su cascate di ghiaccio. Esiste una collaborazione con Air Zermatt e con il Peloton de Gendarmerie de Haute Montagne di Chamonix, in Francia. Nelle missioni di soccorso sono attualmente previsti due guide, un medico, un pilota e uno specialista. Gli equipaggi sono molto dinamici. In alta quota al salvataggio partecipa solo la guida. In altre situazioni meno complesse partecipano tutti i professionisti. Solo pilota e specialista sono previsti per interventi in alta quota. In Valle d’Aosta la media delle missioni di soccorso si svolge a 2800 metri di quota. Occorrono macchine performanti e leggere al fine di garantire la sicurezza nel corso degli interventi in alta quota.