Zoonosi in ambiente montano

MONTAGNA E ZOONOSI

A giugno al Palamonti di Bergamo si è svolto un incontro per discutere il delicato, attualissimo tema delle zoonosi, ovvero delle infezioni che gli animali possono trasmettere all’uomo. In particolare si è parlato del ruolo dei mammiferi che popolano l’habitat montano.

 

Giancelso Agazzi

 

Sabato 24 giugno 2023 si è svolto presso la sala convegni del Palamonti a Bergamo un incontro dal titolo “Le zoonosi in ambiente montano”, organizzato dalla Commissione Centrale Medica del CAI, dalla Società Italiana di Medicina di Montagna e dal Servizio di Veterinaria dell’ATS di Bergamo.

Antonio Montani, presidente generale del CAI, ha porto il suo saluto ed ha sottolineato come i cambiamenti climatici hanno facilitato la diffusione di alcune zoonosi, per esempio la malattia di Lyme e altre patologie veicolate dalle zecche. Si tratta di un momento storico particolare che porta conseguenze sgradevoli. Si sono uniti ai saluti di Montani anche Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei Medici della Provincia di Bergamo e Marcello D’Alessandro del Dipartimento di Prevenzione della provincia di Bergamo. Donato Musci, presidente della commissione rifugi del CAI di Bergamo, ha sottolineato l’importanza della collaborazione dei gestori dei rifugi di sezione, riguardante il progetto di raccogliere le zecche allo scopo di individuare eventuali patogeni. Benigno Carrara, presidente della commissione medica del CAI Bergamo, è intervenuto per promuovere la collaborazione esistente con il Servizio Veterinario dell’ATS di Bergamo. È opportuno informare di questo rischio i medici di base e i pediatri di libera scelta, gli specialisti degli ospedali e i veterinari. Antonio Sorice, direttore del Servizio di Veterinaria dell’ATS di Bergamo, ha fatto presente, nell’ottica dell’One Health, l’importanza della collaborazione tra medici e veterinari, tra ATS e università.

La prima relatrice è stata Camilla Luzzago del Laboratorio di Ricerca del Dipartimento di Medicina Veterinaria e Scienze Animali dell’Università di Milano (Wildlife Health Lab), con una relazione dal titolo “Zoonosi in ambiente alpino: l’interfaccia animale”. L’ecosistema della montagna è molto fragile e notevole l’incremento degli ungulati, tra i quali il cervo a coda bianca, spesso serbatoio di patogeni pericolosi per l’uomo. Negli animali, veicolo di zoonosi, i casi di infezioni sintomatiche sono sporadici. Sono state individuate aree di studio con l’utilizzo di foto-trappole. È stato messo a punto un Piano di Prevenzione, Sorveglianza e Risposta alle Arborvirosi (PNA) 2020-2025, con particolare riferimento ai virus: West Nile, Usutu, Chikungunya, Dengue, Zika, virus dell’encefalite virale da zecche e virus Toscana. Il PNA estende la sorveglianza a livello nazionale alle specie di zanzare invasive e al monitoraggio delle resistenze agli insetticidi. Le zecche Ixodes ricinus in Europa trasmettono l’agente infettivo per via verticale (femmine-uova), trans-stadiale (da larve a ninfe fino ad adulti) e orizzontale (pasto di più zecche su un unico anomale, co-feeding). I piccoli mammiferi contribuiscono al mantenimento dell’infezione e sono necessari per lo sviluppo delle zecche. Altre specie selvatiche, in particolare il capriolo, sono ospiti a fondo cieco (non trasmettono l’infezione), con una viremia assente o di breve durata. Ruminanti domestici e selvatici sono popolazioni sentinella per l’encefalite virale da zecche in provincia di Lecco, con una sieroprevalenza dell’1,4% nei caprioli (1999-2002) e dello 0,9% nelle capre nel 2006. Nei ruminanti domestici il virus rimane nel latte fino a una settimana post-infezione, infettante fino a due settimane nel latte a 4°C. Esiste un rischio alimentare da latte e derivati non pastorizzati (burro, ricotta, yogurt). I focolai di infezione sono distribuiti sul territorio montano in modo diverso: alcune vallate risultano contaminate e altre no.  Gli animali selvatici costituiscono un importante indicatore per le zoonosi. Le zoonosi a trasmissione alimentare sono soggette a sorveglianza prioritaria nell’Unione Europa. La rabbia urbana è stata eradicata in Italia nel 1973. Dal 1977 al 1995 vi sono state epidemie di rabbia silvestre (87% dei casi nella volpe rossa). Nel 1997 la rabbia silvestre è stata eradicata. Dal 2008 al 2011 vi è stata un’epidemia di rabbia silvestre in Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino-Alto Adige. Nel 2013 la rabbia è scomparsa di nuovo. È stato messo a punto un Piano di Sorveglianza Passiva negli animali selvatici negli anni 2022-23 (2765 animali testati). Un piano di vaccinazione orale è stato esteso ai paesi extra-UE confinanti (ZERO BY 2020 Wildlife Classical Rabies Virus in the EU by 2020).

 Attualmente esiste il problema della rabbia per i cuccioli di cane che provengono dall’Ucraina. Molti sono i casi non notificati. Vaccinando i cani (almeno il 70% in una comunità) si interrompe il ciclo della malattia. Ogni nove minuti una persona muore di rabbia nel mondo. Occorre prevenire il problema a livello globale almeno nelle aree dove c’è attenzione per questo tipo di zoonosi.

Alberto Tomasi, presidente della Società Italiana di Medicina dei Viaggi e delle Migrazioni ha parlato di “Zoonosi in ambiente alpino e nelle terre alte del mondo: epidemiologia e prevenzione”. Vanno individuati il prima possibile i rischi, incluse le zoonosi, per poterli evitare in tempi rapidi. Il pericolo di zoonosi è dovuto anche alla forzata convivenza con gli animali e alle variazioni climatiche che alterano l’equilibrio ambientale. Il 75% delle malattie infettive umane fino ad oggi conosciute deriva da animali e il 60% delle malattie emergenti è stata trasmessa da animali selvatici. Esse causano circa un miliardo di casi di malattia e milioni di morti ogni anno. Le zoonosi comprendono un gruppo eterogeneo di infezioni che possono essere causate da virus, batteri, funghi, altri organismi, agenti infettivi non convenzionali (AINC) o prioni (come il fattore causativo dell’encefalopatia spongiforme bovina, anche noto come “morbo della mucca pazza”). Le zoonosi conosciute sono molto numerose- oltre 200 secondo l’OMS- e il loro studio costituisce uno dei settori di maggiore interesse della medicina umana e veterinaria. Sono zoonosi la rabbia, la TBE, la leptospirosi, l’antrace, la SARS (inclusa la nuova pandemia provocata dal virus SARS-CoV-2), la MERS, la febbre gialla, la Dengue, l’HOV, l’Ebola, la Chikungunya e il Covid-19, il morbo di Lyme, ma anche la più diffusa influenza, solo per citarne alcune. Tra tutte le malattie emergenti le zoonosi di origine selvatica potrebbero rappresentare in futuro la più consistente minaccia per la salute della popolazione mondiale. La variazione del clima può creare condizioni favorevoli a una specie in aree dove prima essa non era in grado di vivere stabilmente. In particolare, il riscaldamento climatico può favorire sia lo spostamento latitudinale dell’areale di una data specie, sia la sua espansione altitudinale. Il clima delle regioni settentrionali sta cambiando più velocemente della media globale, rendendo queste aree più esposte al rischio di malattie infettive sensibili al clima (Climate Sensitive Infections), rilevanti per gli animali selvatici e per l’uomo. Le malattie trasmesse da artropodi in particolare sono riconosciute come potenzialmente in grado di espandere la loro distribuzione verso latitudini settentrionali. Modifiche dell’areale geografico e altitudinale di alcune specie vettori causate dal riscaldamento climatico sono state documentate in Europa per le zecche della specie Ixodes ricinus, vettore di patologie quali il morbo di Lyme e l’encefalite mediata da zecche (TBE), associate a nuovi focolai e a una maggiore incidenza di TBE. Un’infezione emergente è un’infezione che appare e colpisce una popolazione per la prima volta, oppure è esistita precedentemente, ma si diffonde rapidamente, sia in termini di numero di persone infette che di nuove aree geografiche interessate. Tra le malattie trasmesse da zanzare: malaria, dengue, chikungunya, lymphatic filariasis (elephantiasis), japanese encephalitis (JE), west nile fever, yellow fever, Rift valley fever, Zyka virus. Tra le zoonosi trasmesse da zecche: Lyme borreliosis, rickettsiosis, babesiosis, erlichiosis, Crimeean-Congo Haemorragica fever (CCHF), Kysannur forest disease, Q Fever, Tick Borne Encephalitis (TBE). L’incremento nel corso degli ultimi anni delle arborvirosi è dovuto a: urbanizzazione incontrollata, deforestazione, cambiamenti climatici, mancanza di controlli sul vettore, aumento dei viaggi e dei commerci internazionali, povertà ed aumento della popolazione, cattiva gestione dell’acqua (dighe, serbatoi).

 La zanzara tigre è arrivata in Europa negli anni ’90 nei copertoni trasportati dalle navi provenienti dal Nord America. La Dengue è una malattia arrivata dai tropici. La TBE è un’arborvirosi che si sta diffondendo anche in Italia, veicolata dalle zecche. Le vie di trasmissione degli agenti responsabili di zoonosi sono molteplici e tra queste vi sono: contatto diretto di un ospite suscettibile con un animale infetto (per esempio, contatto con saliva, sangue, urina, feci o altri fluidi corporei); contatto con suolo o oggetti contaminati; punture e morsi di zanzare, zecche, pulci e pidocchi; ingestione di acqua o alimenti contaminati.

Esiste un criterio per stabilire l’indice di pericolosità riconducibile alle zecche, che tiene conto di alcuni parametri: altimetria, da 500 a 750 metri sul livello del mare, fondo erboso circa 50%, altezza erba inferiore a 24 centimetri, alta densità di caprioli, presenza di piccoli roditori, mese di maggio, boschi di latifoglie e boschi misti, piovosità superiore a 850 millimetri all’anno, pendenza da 30 a 40 gradi, buona distanza dalle strade trafficate.

Perché vaccinarsi per andare in montagna? Perché si è a rischio, per non ammalarsi, per meglio adattarsi a condizioni climatiche difficili e/o all’altitudine, per essere più in forma, per non limitare gli altri o le prestazioni del gruppo. I vaccini sono utili ed efficaci, quando ci si ammala colleghi o ifamiliari sono a rischio. L’organismo impiega circa 15 giorni a produrre gli anticorpi dopo una vaccinazione. Possono essere necessarie più dosi di vaccino. Valutare possibili co-vaccinazioni. Anche chi si sposta last minute è bene che si rechi presso l’Ambulatorio della Medicina dei Viaggiatori. I vaccini in generale non comportano una compromissione della performance sportiva, tuttavia, per evitare che i normali effetti collaterali interferiscano la prestazione le vaccinazioni devono essere programmate in modo che i possibili, anche se temporanei, effetti collaterali abbiano meno probabilità di verificarsi nel periodo della competizione. La scheda vaccinale va, poi, programmata a seconda delle zone geografiche sedi del viaggio. Le vaccinazioni di routine sono quelle che permettono, in particolare, alla popolazione adulta e anziana di essere protetti da determinate malattie infettive. Il calendario vaccinale per la vita fornisce le indicazioni sulla tipologia di preparati e sugli eventuali richiami.

Per un trekking in montagna si raccomandano le seguenti vaccinazioni di routine:

•       Antipneumo e antiinfluenzale (sopra i 50 anni e per le persone a rischio)

•       Antidifto-tetano-pertosse-polio (richiamo ogni 10 anni)

•       Antimeningite quadrivalente, A, C, W, Y,

•       Antimorbillo-parotite-rosolia-varicella

•       Anti Hpv (tutti gli adolescenti e gli adulti a rischio)

•       Antirabbica (se morsicati o graffiati da animali infettati dal virus della rabbia)

•       Anti-encefalite giapponese (in alcuni paesi del Sud Est Asiatico. La malattia è endemica in Nepal)

•       Anti-encefalite da zecche

•       Anti febbre gialla (se necessaria o se richiesta dal paese)

•       Antitifica, anticolerica (dipende dal tipo di viaggio, di alloggio e dalla modalità di preparazione degli alimenti)

•       Anti-Dengue

 

 

Alessandra Gaffuri, della sezione di Bergamo dell’IZSLER (Istituto Zooprofolattico Sperimentale), ha parlato della “Sorveglianza sanitaria della fauna selvatica alpina sulle Alpi Orobie”. Esiste un legame stretto tra la natura e la montagna. Ci sono piani di controllo nella fauna selvatica, finalizzati alla salvaguardia della salute pubblica e animale secondo una visione One Health. Esistono piani di monitoraggio attivi e passivi, armonizzati a livello regionale e nazionale, con progetti di ricerca. In provincia di Bergamo i primi piani di controllo risalgono alla fine degli anni ’90. Esiste la possibilità di trasmissione di agenti patogeni da animali domestici e selvatici e viceversa. Alcune malattie della fauna selvatica sono trasmissibili all’uomo. L’animale selvatico può fungere da serbatoio di agenti patogeni e/o da indicatore della presenza di patogeni sul territorio. Nell’ambiente sono presenti vettori di malattie. La presenza di patogeni trasmessi da zecche è rilevabile attraverso l’analisi diretta del parassita, tramite un’indagine condotta su animali serbatoio o indicatori, oppure su pazienti o categorie a rischio. Il prelievo delle zecche avviene nel corso della sorveglianza passiva, nei cacciatori nel periodo venatorio, con la sorveglianza attiva o nei singoli cittadini. Gli ungulati sono serbatoi di viremia limitati nel tempo. Gli uccelli possono trasmettere la TBE; anche gli animali al pascolo possono infettare. Si sono riscontrate positività sierologiche in ruminanti selvatici. In Valle Brembana, nel comune di Carona (Bg) è stato rinvenuto un camoscio maschio, classe 4, con difficoltà di movimento e massiva infestazione da zecche (9.05.23). Utile può essere effettuare indagini sierologiche retrospettive per condividere i dati. Per quanto riguarda le azioni future, occorre segnalare le aree a rischio, raccogliere le zecche in altre zone a rischio, incrementare le indagini sierologiche su selvatici e ruminanti domestici. Esiste uno studio spontaneo autofinanziato IZSLER denominato “Monitoraggio del virus dell’encefalite virale da zecche (Tick Borne Encephalitis-TBEv) in latte crudo e prodotti derivati, in aree di alpeggio della Lombardia”. In conclusione è opportuno armonizzare l’attività in ambito veterinario e medico, analizzare e condividere i dati, individuando le aree di rischio.

In Europa il tetano è, attualmente, una malattia rara. Negli ultimi decenni, infatti, si è assistito a un progressivo ma lento calo del numero annuale di casi. L’Italia, tuttavia, rimane il Paese europeo che ne notifica il maggior numero. Nel 2017 sono stati segnalati 82 casi in Europa, di cui 33 in Italia.

Luca Pellicioli del Dipartimento Veterinario dell’ATS di Bergamo ha parlato di “Monitoraggio e prevenzione della patologie trasmesse dalle zecche nel territorio montano delle Orobie”. Le zecche sono ectoparassiti ematofagi obbligati temporanei. Sono atropodi, appartenenti alla classe degli aracnidi, sottordine Ixodidi, famiglie: Ixodidae, Argasidae e Nuttalliellidae e sono dotate di quattro paia di zampe. Non sono dunque insetti, i quali hanno sei zampe e, per questo, sono detti esapodi. Le zecche hanno dimensioni variabili da qualche millimetro a un centimetro, presentano un corpo tondeggiante con capo provvisto di rostro e sono dotate di un apparato buccale in grado di penetrare nella cute degli esseri viventi a sangue caldo. Sono diffuse in tutto il mondo. Attualmente se ne conoscono 900 specie. In Italia sono note 36 specie. Sono raggruppate in sette generi. La famiglia Ixodidae (zecche dure) presenta uno scudo dorsale, mentre la famiglia Argasina (zecche molli) non ha lo scudo dorsale. Le specie più diffuse e rilevanti sotto il profilo della salute pubblica in Italia e in Europa sono Ixodes ricinus (zecca dei boschi) e Rhipicephalus sanguineus (zecca del cane). Ciascuna specie è vettore di malattie. Frequentano gli ambienti ricchi di vegetazione erbosa e arbustiva. Sono parassiti con elevato tasso di sopravvivenza in ambiente. I picchi di diffusione avvengono in primavera e in autunno. Se aumentano gli ospiti aumenta la possibilità di sviluppare il ciclo. Il contesto ambientale in cui vive la zecca è in continua evoluzione: cambiamento dell’architettura del paesaggio di montagna e delle modalità di fruizione della montagna, avanzamento del bosco, cambiamenti climatici, incremento delle popolazioni di animali selvatici a vita libera. Servono tre ospiti affinché il ciclo biologico della zecca si completi. Quest’ultimo avviene in quattro stadi: uovo, larva, ninfa, adulto. La femmina adulta depone nel terreno sino a 20.000 uova (ammassi) e, poi, muore. Dopo 30-50 giorni escono le larve che attendono di passare nell’ospite. La trasformazione da uno stadio a quello successivo richiede un pasto di sangue. L’intero ciclo biologico si può compiere in uno stesso ospite o in 2-3 ospiti diversi. Il morso è indolore grazie all’emissione di una sostanza anestetica. Il pasto di sangue rappresenta il momento in cui la zecca rimane adesa all’ospite e si nutre. Secerne sostanze che cementano la zecca all’ospite. Dopo aver consumato il pasto di sangue la zecca si stacca spontaneamente dopo un periodo di 2-7 giorni. Le femmine adulte possono aumentare di peso fino a 200 volte. Al termine del pasto di sangue la zecca rigurgita, inoculando nell’ospite (se infetta) i patogeni (virus, batteri, protozoi). Se la zecca non compie il pasto di sangue, si interrompe il ciclo biologico. Le zecche sono tendenzialmente selettive, ma possono adattarsi a un ampio range di ospiti. Non saltano e non volano! Tra le principali patologie trasmesse di rilevanza epidemiologica in Italia: TBE o encefalite da zecca (malattia virale da Flavivirus), malattia di Lyme (causata dalla Borrelia burgdorferi), Rickettsiosi (febbre bottonosa del Mediterraneo), Febbre ricorrente da zecche (Borreliosi ricorrente), Tularemia (zoonosi causata dalla Francisella tularensis), Ehrlichiosi (malattia batterica causata da Rickettsiaceae), Anaplasmosi (malattia infettiva causata dall’Anaplasma phagocytophilum), Babesiosi o Piroplasmosi (malattia parassitaria da protozoi). La malattia di Lyme o Borreliosi determina un eritema cronico migrante (10-15 centimetri), senza prurito o calore, visibile dopo 1-4 settimane, localizzato in corrispondenza del morso. L’eritema si sviluppa e si risolve in 48 ore, genera prurito, infiammazione e dolore.

La zecca va afferrata con una pinzetta, rimanendo sulla superficie della pelle, e, poi, rimossa tirando dolcemente e imprimendo un leggero movimento di rotazione. Durante la rimozione non si deve schiacciare il corpo della zecca per evitare il rigurgito, che aumenta la possibilità di trasmissione di agenti patogeni. La zecca presenta una frequenza respiratoria bassa (15 volte/ora, apnee). Non si devono applicare sulla zecca alcol, olio, liquidi vari. Non si deve strappare, né spremere. Non si deve usare il fumo di sigaretta. La sede del morso va disinfettata. Va applicata una crema antinfiammatoria se necessario. Si deve osservare la sede del morso nei giorni successivi. Per quanto riguarda la prevenzione: coprire le estremità degli arti, evitare di addentrarsi in zone con erba alta, trattare gli animali domestici al seguito (cani), utilizzare repellenti (a basso assorbimento cutaneo) per scoraggiare l’attacco delle zecche (dietiltoluamide, icaridina), controllarsi al termine di ogni escursione (abiti) e corpo (interno coscia, ascelle). Effettuare trattamenti anti-parassitari in ruminanti domestici e cani, anche se non imposto da una legge specifica. Tra i prodotti di ultima generazione spot-on e compresse.

La citizen science rappresenta un grande strumento di comunicazione e di informazione per il cittadino. Si tratta di un’opportunità in grado di segnalare situazioni sul territorio. In provincia di Bergamo è da poco partito un progetto che coinvolge i dieci rifugi della sezione del CAI di Bergamo dove sono stati distribuiti dei kit per la raccolta delle zecche in soggetti che sono stati morsicati. Si tratta di un intervento di prevenzione in collaborazione con il Servizio di Veterinaria dell’ATS di Bergamo che prevede l’identificazione morfologica e l’analisi microbiologica sugli ectoparassiti in oggetto al fine di isolare patogeni. È stata approntata una scheda anamnestica per il rilevamento dati. In caso di isolamento di patogeni è prevista la comunicazione alla persona morsicata.

Francesco Marchiori del Servizio di Igiene e Sanità Pubblica AULSS9 Scaligera di Verona, ha parlato di “Uomo, animale, microrganismo: origini delle zoonosi e peculiarità nei territori montani”. In provincia di Verona la TBE (Tick Borne Encephalitis) è endemica. La riduzione dell’habitat delle varie specie animali favorisce il fenomeno dello spillover. Le zoonosi più diffuse sono: rabbia, tenia, peste, listeriosi, istoplasmosi. Alcune categorie di lavoratori sono particolarmente esposte alle zoonosi in ambiente montano: guardie forestali, guide alpine, uomini del CNSAS, praticanti sport ricreazionali in genere. Numerosi animali sono coinvolti nel passaggio di specie. Molte sono le barriere da superare tra due ecosistemi. Ciò accade, per esempio, a Manaus dove la città confina con la foresta amazzonica. In particolare la deforestazione favorisce il fenomeno dello spillover. Attualmente esistono sette focolai di H5N1 (aviaria). È importante non manipolare carcasse di animali morti. Di fondamentale importanza è capire i meccanismi per interrompere la trasmissione delle zoonosi e attuare una corretta prevenzione attraverso operazioni di controllo, educazione e formazione. Per fortuna spesso il processo di trasmissione si blocca.

 Il 60% delle infezioni umane esistenti sono zoonosi. Almeno il 75% delle malattie infettive emergenti (comprese Ebola, HIV e influenza) hanno un’origine animale. Ogni anno compaiono cinque nuove malattie umane, tre delle quali di origine animale. L’80% degli agenti con potenziale uso bioterroristico sono patogeni zoonotici. L’ambiente è costituito dal luogo, dallo spazio fisico, dalle condizioni biologiche in cui un organismo si trova e vive. L’ambiente comprende l’interazione di tutte le specie viventi, il clima, il tempo e le risorse naturali che influenzano la sopravvivenza umana. Vi sono quattro componenti: lo spazio in cui l’organismo vive, l’insieme delle risorse presenti in tale spazio, le interrelazioni tra l’organismo e gli esseri viventi, le condizioni fisiche, chimiche e biologiche in cui si svolge la vita dell’organismo. L’ecosistema è costituito da due componenti in stretta relazione: gli organismi viventi e l’ambiente in cui vivono. I problemi che si creano sono l’antropizzazione, la riduzione dell’habitat, l’aumento del consumo di alimenti, i cambiamenti climatici e l’inquinamento ambientale. L’aumento della pressione antropica sull’ecosistema determina uno stretto contatto tra uomo e organismi viventi, con conseguente probabilità di passaggio di microorganismi da animali a uomo. Lo spillover consiste nella trasmissione di un patogeno da una specie ospite a un’altra, indipendentemente dal fatto che il contagio sia efficace o meno, ovvero che il patogeno cagioni la malattia nell’ospite ricevente. Quando l’ecosistema perde il suo equilibrio si aumenta la probabilità di generare fenomeni di salto di specie. Le zoonosi sono malattie o infezioni che vengono trasmesse in modo naturale tra vertebrati e uomini (WHO). Il termine deriva da due parole greche: zoon, animale e noson malattia, e fu coniato alla fine del 1800 da Virchow. La classificazione viene fatta in base alla trasmissione diretta (rabbia), indiretta (salmonella), tramite vettore (TBE, Lyme).  Sono necessari almeno un patogeno e due ospiti. Altri tipi di classificazione: ricreazionali (TBE), occupazionali (rabbia), zoonosi domestiche (bacillus anthracis), zoonosi animali da compagnia (streptococcus, toxoplasma), zoonosi alimentari (salmonella, brucella), su base eziologica: batteriche (Lyme), virali (aviaria), parassitarie (toxoplasma, echinococco), ciclo urbano (sinantropiche), ciclo silvestre (exoanthropic), miste. Il tasso di spillover è il numero di eventi di spillover che coinvolge il sistema considerato. La diversità di spillover è il numero complessivo di patogeni implicati nel salto di specie. La possibilità di contatto tra ospite/vettore e le specie che occupano ecosistemi adiacenti è molto significativa. Sono molti i patogeni in grado di persistere nell’ambiente. Ci sono alti livelli di biodiversità, densità degli ospiti e interazione tra specie. Tra le prospettive future lo studio delle zoonosi esistenti e la ricerca di potenziali dinamiche causa di spillover (ricerca reattiva verso ricerca proattiva). Le strategie da attuare per il futuro doverrbero comprendere: vaccinazione delle popolazioni a maggior rischio ( per esempio, personale esposto lavorativamente), vaccinazioni degli animali a rischio, educazione sanitaria mirata nelle comunità a maggior rischio sia di zoonosi sia di spillover, sorveglianza epidemiologica integrata animale-uomo. Occorre ripensare agli attuali modelli di gestione delle risorse ambientali e dell’ecosistema Terra.

Alessandra Tebaldi, dirigente medico dell’Unità Operativa di Malattie Infettive dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ha presentato “Un caso di meningoencefalite da zecche (Tick Borne Encephalitis, TBE) in Val Brembana: presentazione clinica ed evoluzione”. La relatrice ha illustrato il primo caso di TBE, infezione acuta del sistema nervoso centrale, in provincia di Bergamo segnalato nel 2022 in un cacciatore di Valtorta. La malattia ha avuto una lenta e lunga evoluzione, caratterizzata da astenia e stanchezza. L’epidemiologia ricopre un ruolo molto importante e costituisce l’anello di congiunzione tra clinici e ricercatori.  Nelle zone a rischio viene consigliata la vaccinazione contro la TBE.

È seguita la presentazione di Andrea Rossanese, dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar di Valpollicella (Vr), dal titolo “Epidemiologia e prevenzione della rabbia durante trekking e spedizioni”. Esistono tre ceppi di rabbia. I Lyssavirus provocano la rabbia. Più si procede verso Est in Europa e più la rabbia aumenta. Il rischio di rabbia è legato al morso di un animale infetto, in particolare il cane. In Austria circa l’80% della popolazione è vaccinato. La rabbia è la zoonosi più letale del pianeta. Infatti si segnala un morto ogni 10-15 minuti. Ecco il perché dell’importanza della vaccinazione nell’uomo a scopo preventivo. Poiché la rabbia è incurabile, l’enfasi deve essere sulla prevenzione. Il tasso stimato di potenziale esposizione alla rabbia in viaggio nei paesi dove la malattia è endemica è di 4 casi ogni 1000 persone al mese (metanalisi). Predittori di esposizione al rischio: giovane età, sesso maschile, viaggio in Asia occidentale o sudorientale, visita a un parco di scimmie, avere un animale domestico non vaccinato, considerarsi viaggiatori esperti (ma tutti sono a rischio, anche i “businessmen”).

Risulta impossibile eradicare il virus della rabbia dal pianeta poiché troppi sono i serbatoi. Il problema della rabbia umana è il cane. In India si registra un terzo di tutte le morti nel mondo provocate dalla rabbia. Presso il pronto soccorso dell’ospedale di Calcutta avvengono dai 30 ai 35 accessi al giorno per profilassi post-esposizione da rabbia. Sono stati censiti circa 80 milioni tra cani e gatti randagi in India. La rabbia è fonte di morte, proprio per l’assenza di terapie specifiche. La consapevolezza del rischio è, purtroppo, molto bassa tra i viaggiatori, quindi può accadere che, in caso di esposizione, si ignori la necessità di farsi visitare. Il virus va bloccato subito (somministrazione di immunoglobuline pronte RIG). In caso di morso si deve immediatamente lavare la parte interessata, facendo scorrere per 10 minuti acqua corrente e impiegando il sapone. Le immunoglobuline specifiche sono necessarie. La trasmissione del virus avviene attraverso una terminazione nervosa. Quattro sono le dosi di vaccino da somministrare in profilassi.

Nell’ambulatorio dei viaggiatori la vaccinazione anti-rabbica dovrebbe trovarsi al primo posto! Fondamentale è la prevenzione. Solo il 14% dei pazienti potenzialmente esposti cerca cure mediche. Di questi il 3,8-24,7% ricevono le RIG nel paese di esposizione. Tra il 1990 e il 2019 vi sono stati 83 casi di rabbia riportati tra i viaggiatori. Tra il 2004 e il 2019 sono stati segnalati 3,5 casi all’anno. Tra il 2007 e il 2018 l’indicazione per eseguire una Profilassi Post-esposizione (PEP) per la rabbia è stata 22,7 volte maggiore del numero di diagnosi di epatite A. Principali raccomandazioni:

·      Profilassi post-esposizione (PEP): infiltrare le RIG all’interno della e attorno alla ferita; non iniettare il resto della dose intramuscolare alla radice dell’arto colpito

·      Profilassi pre-esposizione (PrEP): somministrazione intradermica (2 siti) o intramuscolare (un sito) ai giorni 0,7, 28

·      Se, per qualsiasi motivo, una dose viene ritardata, non incominciare, ma completare

·      Una PEP senza PrEP non esclude rare, ma fatali infezioni “breakthrough”

·      Ad oggi non sono mai stati riportati fallimenti di PED dopo PrEP.

Specie se lo si vede come un “investimento per la vita” - visto che non servono ulteriori richiami - è del tutto giustificabile raccomandare largamente la profilassi pre-esposizione (PrEP) contro la rabbia ai viaggiatori diretti in uno dei 116 paesi, territori e giurisdizioni identificati dal WHO come a rischio moderato o alto per questa terribile malattia.

Andrea Rossanese ha continuato con una presentazione dl titolo “TBE: la prevenzione”.

 

Alcune raccomandazioni

·      È consigliato evitare di frequentare le aree ad alto rischio di infestazione da zecche, in particolare quelle con cespugli bassi, dove è più probabile che le zecche si nascondano

·      Usare pantaloni lunghi e camicie a manica lunga, avendo l’accortezza di rimboccare la camicia nei pantaloni e questi ultimi nelle calze

·      Indossare scarpe chiuse

·      Indossare indumenti di colore chiaro perché su questi è più facile individuare la zecca ancor prima che si attacchi

·      Impregnare gli indumenti con permetrina o deltametrina (è stata dimostrata la significativa riduzione del rischio di morso in chi svolge attività all’aria aperta)

·      Utilizzare gli stessi repellenti cutanei che si usano per la prevenzione delle punture di zanzara (N, N-dietil-meta-toluamide o DEET, KBR3023 o picaridina, para-mentan-3,8-diolo o PMD, IR3535), perché anche se con efficacia minore, contribuiscono a ridurre il tasso di attacco da parte delle zecche

·      Rimuovere quanto prima la zecca, utilizzando semplici pinzette, con le quali la si afferra quanto più vicino possibile alla zona di ancoraggio, esercitando una leggera torsione

·      Non consumare prodotti lattiero-caseari di pecora, capra o mucca ottenuti da latte non pastorizzato di animali allevati in aree endemiche.

 

Il vaccino:

 

Nell’UE sono registrati due vaccini inattivati anti-TBE, uno da un ceppo di TBEV tedesco e l’altro da uno austriaco (Italia).

Il vaccino è prodotto a partire da virus coltivati in fibroblasti di pollo, poi inattivato con formaldeide. Come adiuvante viene impiegato l’idrossido di alluminio.

Può contenere tracce di neomicina e gentamicina, ma non residui mercuriali.

L confezione singola prevede una siringa pre-riempita contenente 0,5/0,25 mL, rispettivamente per individui >16 anni/1-16 anni di età.

Somministrabile a partire dall’anno di vita preferibilmente per via intramuscolare (sottocutanea profonda se rischio emorragico).

Un calendario accelerato, che conferisce rapida protezione a breve termine, prevede la somministrazione della seconda dose due settimane dopo la prima: la risposta anticorpale protettiva risulta comunque superiore al 90%, sia in età pediatrica sia negli adulti. Il tasso atteso di sieroconversione con la schedula standard è per tutti del 98-100%. C’è buona evidenza che la protezione riguardi tutti e tre i sierotipi. Per tutti coloro che continuano a essere esposti al rischio, si raccomanda una dose di richiamo 3 anni dopo il completamento del ciclo base e, successivamente, ogni 5 anni (per soggetti di età ≤60 anni) o ogni 3 anni (a partire dai 60 anni in su, per la risposta più debole conseguente all’immunosenescenza).

Indicazioni alla vaccinazione:

Oltre che per i residenti in aree ad alta endemia (≥5 casi di TBE/100.000 abitanti/anno), la vaccinazione anti-TBE è indicata di norma:

·      Per il personale di laboratorio che lavora con il virus TBEV

·      Per gli addetti alla macellazione di animali potenzialmente infetti

·      Per tutti i viaggiatori che trascorrono (anche cumulativamente, come potrebbero essere i lavoratori trasfertisti o i militari) almeno un mese (ma in alcuni casi solo una settimana) nelle zone endemiche, in particolare durante i mesi primaverili ed estivi.


27.08.23