Donne in quota: un convegno per parlarne

Lo scorso 10 settembre in Svizzera si è svolto il meeting Women going to altitude, organizzato dalla commissione medica dell’UIAA.

Tante le relatrici che, tutte insieme, hanno offerto una fotografia piuttosto precisa dello stato dell’arte.

 

Sabato 10 settembre 2022 si è tenuto presso il rifugio Diavolezza in Engadina, Svizzera, il convegno “Women going to altitude”, voluto dalla commissione medica dell’UIAA (Unione Internazionale delle Associazioni Alpinistiche). A presentare l’incontro Corinna Schön, presidente della società svizzera di medicina di montagna (SSMM) e Urs Hefti,presidente della commissione medica dell’UIAA.

Monika Brodmann Maeder, presidente dell’International Society of Mountain Medicine (ISMM) è stata la prima relatrice, ricordando il passato delle donne alpiniste. Nicole Niquille, prima donna svizzera a conseguire il diploma di guida alpina nel lontano 1986, è nata a Friburgo nel 1956. Ha partecipato a due spedizioni all’Everest e al K2. L’8 maggio del 1994, in seguito a un incidente in montagna, ha perso l’uso delle gambe. A lei è stato dedicato un ospedale a Lukla in Nepal oggi intitolato anche a un’altra donna: Pasang Lhamu Sherpa.

Quest’ultima, nel 1993, è stata la prima nepalese a salire l’Everest, nel corso di una spedizione formata sole sue connazionali. Sfortunatamente morì durante la discesa a causa di condizioni meteorologiche avverse.

 Pasang Lhamu Sherpa Akita è una giovane alpinista nepalese che sta cercando di salire tutti i 14 ottomila, prima donna nepalese sul K2. Sumsita Maskey Atrako Sahayatri è una alpinista nepalese che ha salito i Seven Summits, le sette cime più alte dei continenti; il marito è un medico di emergenza. È seguita la proiezione di un video sull’ospedale di Lukla costruito dalla Fondazione Nicole Niquille.

 

L’ammissione delle donne al SAC

 

Tania Bischofgerger del Club Alpino Svizzero (SAC) ha preso, poi, la parola. Il Club venne creato nel 1863 da 35 uomini. Lunghe sono state le discussioni che si sono succedute negli anni per ammettere le donne, cambiando lo statuto del SAC. Nel 1917 fu creato il Women Suisse Alpine Club.

 Finalmente, nel 1980 le donne vennero ammesse. Nel 2018 è stata organizzata la prima spedizione alpinistica svizzera di sole donne, un evento davvero eccezionale.

 

Trascurate dalla Storia (della medicina)

 

Heleen J. Meijer, medico di famiglia olandese, membro del gruppo donne dell’UIAA, ha parlato di “Female specific mountain medicine”. La relatrice ha sottolineato che le donne, nel corso della storia della medicina di montagna, vennero sempre poco considerate. Sono stati citati i libri scritti da Jeannette Friederike Immink, alpinista olandese nata nel 1853, e da Cicely Williams, intitolato “Women on the rope” e scritto nel 1973. Le prime citazioni riguardanti le donne in letteratura si trovano, nenche tanto curiosamente, nel capitolo di un libro in cui si parla di cistite, di candidosi e di trombosi secondaria all’utilizzo della terapia anticoncezionale orale. Nella metà degli anni ’70 la relatrice è diventata membro della commissione medica della Dutch Mountaineering Association, e nel 1988 ha partecipato a una spedizione olandese di sole donne al Chamlang. È attualmente rappresentante olandese nella Commissione Medica dell’UIAA. Nel settembre del 2003 è comparso un primo documento sulle donne in altitudine (Consensus Statement, Women going to altitude, Vol. 12) realizzato dalla commissione medica dell’UIAA con il contributo della francese Dominique Jean e della spagnola Concita Leal. Il documento è stato presentato in occasione della riunione dell’UIAA di Copenaghen, approvato nella versione definitiva nel 2004 a Teheran e pubblicato nel 2006 sul sito web dell’UIAA in versione più corta. È stato aggiornato nel 2008 con il titolo “Women going to altitude”. Si è costituito, successivamente, un gruppo internazionale di donne, formato da Dominique Jean, Concita Leal, Susi Kriemler, Lorna G. Moore e Heleen J. Meijerche, che nel 2005 ha pubblicato l’articolo dal titolo Reccomandations for women going to altitude sulla rivista High Altitude Medicine and Biology. Nel 2008 Helen ha pubblicato uno statement (vol. 14) per la commissione medica dell’UIAA sulla contraccezione in montagna, approvato nel corso del meeting di Kathmandu nel 2009. Nel 2010 è stato pubblicato un libro dal titolo Modern Berg und Höhen Medizin. Un capitolo di sole 19 pagine su oltre 700 si occupa di donne, bambini e anziani (special groups and persons): il dato si commenta da sé. Diverso è il comportamento dei due generi nei confronti dell’adattamento all’alta quota. La Gender specific medicine (medicina di genere), è nata molto recentemente per studiare le differenze esistenti tra maschi e femmine, anche in alta quota. La nuova disciplina intende studiare come il sesso e il “gender” siano in grado di influenzare, in condizioni di buona salute, la fisiologia, la patologia e la fisiopatologia di una persona.

La medicina, fino dalle sue origini, ha avuto un’impostazione androcentrica. La medicina genere-specifica è definita dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) come lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio-economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona. Molti dati epidemiologici, clinici e sperimentali testimoniano le differenze rilevanti nell’insorgenza, nella progressione e nelle manifestazioni cliniche delle malattie comuni a uomini e donne, nella risposta e negli eventi avversi associati ai trattamenti terapeutici, nonché negli stili di vita e nella risposta ai nutrienti. Anche l’accesso alle cure presenta rilevanti diseguaglianze legate al genere. Per molto tempo negli studi clinici i soggetti arruolati sono stati prevalentemente di sesso maschile (www.epicentro.iss.it).

 

 Svantaggi di genere

 

 

La donna è sempre stata socialmente svantaggiata rispetto all’uomo. Si ammala più facilmente, consuma più farmaci, è più soggetta a reazioni avverse. Nei paesi occidentali le donne vivono più a lungo degli uomini. L’aspettativa di “vita sana” è uguale nei due sessi. Esiste una differenza tra sessi circa l’efficacia dei farmaci, per esempio, i farmaci antidolorifici hanno un metabolismo diverso, così come gli antiaritmici funzionano meglio nei maschi.  L’effetto del tabacco (nicotina) è più devastante nelle donne (maggior incidenza di cancro polmonare). Alcuni metaboliti tossici del tabacco vengono, infatti, eliminati con meno facilità nelle donne. Queste ultime assumono farmaci con più disinvoltura rispetto agli uomini. Hanno un sistema immunitario che, talvolta, le protegge più dell’uomo dalle malattie. Le donne sono più soggette a morte improvvisa. Le proprietà elettriche del cuore sono diverse nei due sessi. L’insufficienza cardiaca è gender specifica. I sintomi di alcune malattie sono più facilmente riconoscibili nei maschi rispetto alle femmine. La maggior parte degli studi è stata effettuata su maschi sia umani che animali. Le donne sono più soggette all’osteoporosi rispetto agli uomini, ma anche questi la sviluppano. Gli estrogeni producono nelle donne un effetto benefico sulle ossa, sul cuore e sul cervello e hanno un effetto protettivo nei confronti del cancro del colon. I maschi rispondono meglio alla terapia anti-depressiva.

La donna è meno soggetta all’edema polmonare d’alta quota.

 Il progesterone favorisce l’acclimatazione e stimola la respirazione.

L’uso di contraccettivi e il consumo di sigarette fa aumentare di 21 volte il rischio di andare incontro a una trombosi. Va, comunque, ricordato che il fattore V di Leiden rappresenta una delle predisposizioni genetiche ereditarie più comuni associate alla trombofilia.

 

Una leader sull’Everest

 

Susmita Maskey, donna nepalese proveniente dalla valle di Kathmandu, è stata la team leader della prima spedizione di donne all’Everest del 2008. Ha presentato una relazione intitolata “Women going to altitude: a bizarre way for emancipation”. Nel 2003 solo tre nepalesi appartenenti alla comunità Sherpa avevano scalato l’Everest. Susmita ha dovuto affrontare notevoli difficoltà, lottando contro vulnerabilità fisica e scetticismo della gente. Nel 2008 raggiunse la vetta dell’Everest. Ha una grande motivazione per la montagna e intende promuovere progetti di coinvolgimento dei giovani e della scuola nel mondo della montagna (www.susmitamaskey.com). We all have our mountain to climb: questo è il suo motto.

Titolo della successiva relazione “It’s high time for women” a cura di Billi Bierling, alpinista e giornalista bavarese, che ha scalato sei ottomila. Billi nel 2004 ha conosciuto a Kathmandu Miss Elisabeth Hawley, la celebre cronista dell’Himalaya, morta nel 2018 a 94 anni (www.himalayandatabase.com). Con lei ha incominciato a collaborare. Dirige l’Himalayan Database, raccogliendo informazioni dalle varie spedizioni e documentando le scalate.

 Il 22 luglio del 1871 l’inglese Lucy Walker raggiunse la vetta del Cervino sei anni dopo Edward Whymper. La prima spedizione alpinistica di sole donne venne organizzata nel 1955 da tre scozzesi con tre Sherpa. Dawa Yangzum è attualmente la sola donna guida alpina in Nepal.

Wanda Rutkiewicz, alpinista polacca, ingegnere elettronico, è scomparsa nel 1992 sul Kangchenjunga. È stata la prima donna al mondo a salire nel 1986 il K2 e la terza a salire l’Everest nel 1978.

 

Giovanissime e audaci

 

Adriana Brownlee nell’agosto del 2022 a 21 anni è stata la donna più giovane a raggiungere la vetta del K2. Ha scalato dieci ottomila. Punta a diventare la donna più giovane ad avere scalato tutti i quattordici ottomila.

La norvegese Kristin Harila ha scalato undici ottomila in 105 giorni (con ossigeno e trasporto in elicottero ai campi base).

L’alpinista austriaca Gerlinde Kaltenbrunner ha scalato tutti i 14 ottomila senza Sherpa e senza ossigeno supplementare in 13 anni, tre mesi e 17 giorni.

“All mountains appear doomed to pass through the three stages: an inassessible peak, the hardest climb in the Alps, an easy day for a lady…”(Mountaineer and author Alfred Frederick Mummery, 1896).(Tutte le montagne sono destinate a passare attraverso le tre tappe: una cima inaccessibile, la cima delle Alpi più difficile da salire, un giorno facile per una signora..).

 

Il peso degli ormoni

 

“AMS/HACE in women-what we need to know” il titolo della presentazione della statunitense Mia Derstine dell’University of Colorado, membro della Wilderness Medicine Society, medico di emergenza. Mia fa parte del Writing Group on women’s health in the mountains della commissione medica dell’UIAA, costituito da  Kaste Mtaeikaite-Pipiriene, Lenka Horakova, Beth Beidleman, Marija Andjelkovic, Alison Rosier, Peter Paal, Jacqueline Pichler Hefti, Dominique jean, Susi Kriemler, Linda E. Keyes).

 Mia ha presentato una revisione della letteratura riguardante AMS/HACE, mettendo in evidenza le differenze ormonali esistenti tra uomo e donna. La quota viene classificata in: alta (1500 metri), molto alta (3500 metri), estrema (5500 metri). Alcuni luoghi che si trovano in altitudine sul pianeta: Denver 1609 metri, Cuzco 3291 metri, La Paz 3639 metri, Lhasa 3658 metri, Addis Abeba 2354 metri, Diavolezza 2958 metri. Il mal di testa da alta quota compare oltre i 2400 metri, entro 24 ore, può essere frontale o bilaterale, peggiora con lo sfinimento, e la tosse. Risponde ai farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS). Il male acuto di montagna (AMS) compare di solito oltre i 2400 metri di quota, spesso entro 6-10 ore, con mal di testa, anoressia, nausea, debolezza o vertigini (Lake Louise Criteria). Dipende da come è stata fatta l’acclimatazione e dalla velocità di salita.

L’edema cerebrale d’alta quota (HACE) compare in genere oltre i 3000 metri di quota, con encefalopatia, atassia, senza deficit neurologici di tipo focale, spesso associato a edema polmonare d’alta quota. Nelle donne gli estrogeni fanno aumentare il flusso sanguigno cerebrale (effetto protettivo), mentre il progesterone è uno stimolante della respirazione. Nell’uomo il testosterone incrementa l’eritropoiesi e la VO2 Massimale. Un pre-trattamento con medrossiprogesterone non ha ridotto la comparsa di AMS sia nei maschi che nelle femmine. Il ciclo mestruale non influenza l’incidenza dell’AMS. Viene segnalato un aumento dell’AMS tra le donne che assumono anticoncezionali orali (OCP), anche se servono più dati circa il loro uso. Maschi con più alto rapporto testosterone/estradiolo sviluppano più facilmente l’AMS. Le donne non sono più a rischio di HACE. Per quanto riguarda la revisione della letteratura vi sono centinaia di studi. Pochi, però, sono quelli riguardanti le donne. Non sembra esistere un aumentato rischio di AMS per le donne a qualsiasi età. Anche i dati riguardanti l’HACE sono scarsi; servono più studi. Per quanto riguarda la prevenzione occorre limitare la salita a 300/500 metri per giorno oltre i 3000 metri. Il trattamento di AMS/HACE severi (not gender specific) prevede una rapida discesa oppure l’uso del cassone iperbarico o la somministrazione di acetazolamide o di desametasone.

 

L’HAPE non è donna

 

Jacqueline Pichler Hefti, pneumologa svizzera e medico sportivo, ha parlato di “Does sex make a difference to HAPE susceptibility?” L’edema polmonare d’alta quota (HAPE) non è di tipo cardiogeno, e compare di solito oltre i 2500-3000 metri di altitudine, con una prevalenza che va dallo 0,2 al 6% a 4500 metri e del 15% a 5500 metri. Può, ma non è sempre così, essere preceduto da AMS. Un eccessivo incremento della pressione dei capillari polmonari (vasocostrizione) e un’aumentata permeabilità possono determinare un passaggio di liquido dai capillari stessi. I sintomi e i segni dell’HAPE sono debolezza e diminuita prestazione fisica, dispnea a riposo, ortopnea, tosse, sputo ematico, tensione o congestione del torace, tachicardia (>90 battiti/minuto) e tachipnea (>25 atti respiratori/minuto), cianosi, SpO2 <70% a 4500 metri, rantoli polmonari o affanno, temperatura corporea superiore a 37,4°C. Sette sono gli studi importanti realizzati prendendo in considerazione le donne. In uno studio retrospettivo effettuato sui fattori ritenuti determinanti per gli alpinisti nel raggiungere la vetta del Denali (6194 metri) tra il 1990 e il 2008 è stato evidenziato che su 21,809 individui 11,297 (51,8%) hanno raggiunto la vetta. Solo l’11% era rappresentato da donne. Il 52% degli uomini e il 45% delle donne hanno raggiunto la cima della montagna. La relatrice ha ricordato uno studio effettuato nel 2020 sugli alpinisti/e che hanno scalato l’Everest nei periodi compresi tra il 2006 e il 2019 (3620) e tra il 1990 e il 2005 (2211). La percentuale delle donne è aumentata, passando dal 9% a oltre il 14%, ma rimane comunque modesta. Anche la percentuale di alpinsti/e oltre i 40 anni è aumentata, passando dal 38 al 54%. La probabilità di raggiungere la vetta è salita dal 32 al 63-68%, uguale nei due sessi. Solo due studi si sono occupati dell’HAPE nelle donne. Nel 1986 è stato pubblicato uno studio retrospettivo riguardante l’HAPE a Vail, Colorado. Vennero descritti 47 casi di HAPE in 46 soggetti tra il 1975 e il 1982. I dati sono stati raccolti nel Colorado Ski Resort a 2500 metri di quota. La diagnosi è stata fatta in base alla tosse comparsa entro 72 ore, alla presenza di rantoli, con una verifica radiologica. Le donne erano il 7% e gli uomini il 93%. Il rischio di sviluppare un HAPE era 13 volte inferiore nelle donne. L’incidenza di HAPE era 10/100.000 negli uomini e di 0,74/100,000 nelle donne. Nel 1986 un altro studio retrospettivo è stato effettuato sulle piste del Colorado Ski Resort tra il 1987 e il 1990 a 2928 metri su una popolazione di 150 individui. La saturimetria oscillava tra il 38% e il 93% (74% di media). L’85% dei soggetti presentava rantoli polmonari e l’88% aveva infiltrati polmonari. Le donne rappresentavano il 16% e gli uomini l’84%.

La diminuzione della vasocostrizione polmonare ipossica nelle donne è dovuta agli ormoni sessuali femminili, che hanno un effetto protettivo. È stata segnalata una differenza nei due sessi nella risposta ventilatoria ipossica, con una prevalenza dell’HAPE nei maschi, nonostante siano esposti all’ipossia in maggior numero e quasi tutti gli studi scientifici vengano effettuati nei maschi. Differente è il comportamento nei due sessi nell’andare incontro ai rischi. In conclusione la qualità dei dati raccolti non permette di generalizzare. La differenza tra i due sessi può essere giustificata dalle differenze fisiologiche e/o dai diversi comportamenti. Per prevenire l’HAPE si raccomanda di salire 300/500 metri al giorno a oltre 3000 metri, con un periodo di riposo ogni 3-4 giorni. Il trattamento dell’HAPE prevede una rapida discesa, la somministrazione di ossigeno (2-4 litri/minuto), di nifedipina CR (60-80 mg./24 ore), di sildenafil e tadalafil. Nelle zone remote si prevede la somministrazione di desametasone a causa dell’elevato rischio di HACE concomitante. In alcuni casi di HAPE moderato a quota non elevata è necessaria la discesa, essendo sufficiente la somministrazione di ossigeno e di vasodilatatori polmonari. In caso di dubbio scendere è comunque sempre consigliato. La chemioprofilassi nei soggetti suscettibili all’HAPE è efficace. Si raccomanda il rispetto delle strategie di prevenzione e, solo secondariamente, l’impiego di farmaci: per prima cosa nifedipina (30 mg. due volte al giorno), in secondo luogo tadalafil (10 mg. al giorno). La relatrice si domanda se il sesso possa influenzare la fisiologia dell’esercizio e il successo di una spedizione alpinistica. Jacqueline Pichler Hefti ha presentato i dati raccolti nel 2013 nel corso della “High altitude medical research expedition” in Nepal all’Himlung Himal (7126 metri) cui hanno partecipato 18 donne e 21 uomini, con un’età media di 45 anni, sottoposti a test cardiopolmonari al di sopra di 6022 metri. Le donne hanno presentato una VO2 massimale media di 43,6 ml/minuto/chilogrammo sul livello del mare, e di 25,3 ml/minuto/chilogrammo a 6022 metri. Il 52,4% dei maschi ha raggiunto la cima della montagna, contro il 22,2% delle donne. Ci si chiede se i test cardiopolmonari siano in grado di predire il successo di una spedizione e la comparsa di AMS. Occorrerebbero più studi sulle donne e con più donne.

 

Contraccezione ormonale: sì all’impiego, ma senza errori

 

Lenka Horarokova, presidente della Società Ceca di Medicina di Montagna, è intervenuta per parlare di “Contraception at high altitude: should i do anything differentely?” Tra le raccomandazioni: le donne dovrebbero continuare ad assumere normalmente la terapia anticoncezionale orale, con un certo anticipo prima di salire in alta quota. Il tempo dell’assunzione va regolato in anticipo per garantire una regolare assunzione e per prevenire una diminuzione dell’efficacia. Le donne con un aggiunto rischio di tromboembolia venosa dovrebbero adottare misure non farmacologiche e preferire una salita più lenta. Tra gli obiettivi da raggiungere, l’incremento del numero di donne che salgono in alta quota, di cui una su tre si trova in periodo fertile 20%, che utilizzano i contraccettivi ormonali. I meccanismi di contraccezione in generale sono: la contraccezione di barriera (condom), la contraccezione ormonale (pillola, cerotto, anello) o dispositivo intrauterino (IUD). In letteratura esistono 19 documenti importanti: otto studi su residenti sul livello del mare che soggiornano in alta quota e che assumono contraccettivi orali, otto studi in ipossia simulata in camera ipobarica (periodi troppo corti di esposizione) e 3 case report. Il numero di studi è scarso e risulta difficile fare un confronto tra i diversi tipi di contraccezione orale. L’uso di contraccettivi orali non rappresenta un fattore che favorisce o contrasta la prestazione fisica o l’acclimatazione in alta quota. I metodi di contraccezione non sembrano essere alterati da un breve soggiorno in alta quota. Alcune raccomandazioni riguardanti l’uso della contraccezione in alta quota: assumere i contraccettivi regolarmente, specie se la spedizione è lunga. Da ricordare che l’uso di antibiotici ed eventuali episodi di diarrea possono rendere inefficace il contraccettivo ormonale. In queste eventualità è prudente, dunque, ricorrere ad altri metodi contraccettivi fino alla soluzione del problema. L’assunzione di contraccettivi può essere utile per il controllo delle mestruazioni in alta quota. Può essere pratica in zone remote dove l’igiene e l’utilizzo degli assorbenti rappresentano un problema. I contraccettivi orali possono essere assunti in modo sicuro e continuativo per molti mesi, aiutando a prevenire fastidiosi sintomi mestruali, talvolta, confusi con i sintomi dell’AMS. In condizioni di spedizione nelle quali il sonno ed i pasti sono spesso irregolari, può essere difficile mantenere il dosaggio di regime regolare; perciò l’efficacia del contraccettivo orale può essere inavvertitamente ridotta ad alta quota. Per eliminare o ridurre sensibilmente il sanguinamento gli OCP possono essere assunti in modo continuativo (cioè, senza l’interruzione tra una confezione e l’altra) per un periodo di alcuni mesi, mentre è verosimile che nei primi 3 mesi di assunzione continuativa possano verificarsi spotting o sanguinamento più consistente.

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Si dovrebbero assumere i contraccettivi ormonali molti mesi prima di un viaggio in alta quota per evitare l’emorragia da sospensione. Tali questioni vanno affrontate con il proprio ginecologo. Il progesterone stimola la respirazione. La risposta ventilatoria ipossica all’esercizio è un fattore molto determinante per l’acclimatazione. Non ci sono evidenze scientifiche a favore della teoria secondo la quale le utilizzatrici di contraccettivi orali siano favorite nell’acclimatazione. Tra le trekker donne a 5400 metri l’uso di contraccettivi orali non sembra essere un fattore di rischio per l’AMS.

Una rapida salita dal livello del mare a 3000 metri è associata ad una maggiore incidenza di AMS tra le donne che assumono contraccettivi orali rispetto a quelle che non li assumono. Tra le donne che assumono contraccettivi orali l’uso profilattico di acetazolamide si è dimostrato meno efficace di quanto si è osservato nella metà delle donne che non ricorrono a questo tipo di contraccezione. Più studi servirebbero, tuttavia, per chiarire l’interazione tra contraccettivi ormonali e uso profilattico di acetazolamide.

 In generale l’uso dei contracettivi orali fa aumentare l’incidenza di tromboembolie venose (VTE), dipendente dalla dose degli ormoni. L’ipossia ipobarica si associa ad uno stato di ipercoagulabilità, dovuto a fattori quali l’emoconcentrazione, (disidratazione, vomito secondario a AMS), ipossia, ipotermia e ostacolato flusso sanguigno dovuto agli indumenti troppo stretti o alle cinghie dello zaino. Va, comunque, fatto presente che gli effetti della contraccezione orale e i fattori di rischio dell’alta quota non sono stati dimostrati in modo chiaro.

 

In montagna col pancione

 

È seguita la presentazione di Dominique Jean, pediatra di Grenoble, dal titolo “Altitude and pregnancy”. Alcune donne gravide hanno chiesto se è possibile fare il tour dell’Annapurna, superando il Thorong La a 5400 metri, scalare il Kilimanjaro (5895 metri) o trascorrere il tempo della gravidanza a La Paz, tra 3600 e 4100 metri, e partorirvi (espatrio). Prima cosa da considerare è il viaggio. Nelle zone remote del pianeta le cure mediche sono limitate, specialmente quelle di tipo ostetrico. Alcune malattie infettive possono essere più pericolose in gravidanza, per la madre e/o per il feto: diarrea con disidratazione, malaria, dengue, zika, epatite E. Alcuni vaccini e alcuni farmaci sono controindicati nelle donne gravide: vaccino per la febbre gialla, alcuni farmaci antimalarici e alcuni antibiotici (chinolonici e sulfamidici).

La maggior parte degli studi in donne gravide sono stati fatti nelle popolazioni residenti in alta quota (Lhasa, Cusco, La Paz, Leadville) e non nelle visitatrici.

A proposito della fisiologia della gravidanza, sul livello del mare la ventilazione aumenta per effetto del progesterone e del metabolisme rate, e in alta quota va incontro ad un ulteriore incremento. La saturazione aumenta in quota, così come la gittata cardiaca (cardiac output). Esiste una differenza tra residenti e visitatrici. La resistenza vascolare diminuisce nelle gravide. Il flusso dell’arteria uterina è aumentato per via dell’incremento del diametro e della generale velocità del flusso ematico. In alta quota occorre che le gravide si idratino a causa dell’iperventilazione. L’incidenza dell’AMS nelle gravide è uguale rispetto alle non gravide. L’uso dell’acetazolamide è contro-indicato nelle donne gravide: nel primo trimestre è descritto il rischio di teratogenicità nei roditori. Oltre le 36 settimane può causare ittero neonatale o disordini del metabolismo. L’alta quota causa diminuzione del peso dei neonati alla nascita, meno presente nelle popolazioni residenti (tibetani e andini). L’adattamento materno per l’ipossia fetale avviene tramite: iperventilazione, morfologia della placenta, che è più grande, aumentato flusso dell’arteria uterina nelle popolazioni residenti in alta quota. Per quanto riguarda l’adattamento del feto si verificano un aumento dell’emopoiesi e della percentuale di emoglobina fetale.

Poiché la carenza di ferro può impedire una buona acclimatazione, a quote estreme, è consigliato per le donne con bassi livelli di ferritina un supporto di ferro prima di una spedizione.

 Per quanto riguarda un breve soggiorno (short stay) al di sotto dei 2500 metri non si evidenziano rischi in donne con una gravidanza fisiologica, con un esercizio fisico moderato, non fumatrici. Un soggiorno lungo (long stay) oltre i 2500 metri può causare insorgenza di eclampsia, distacco di placenta, morte fetale, diminuzione della crescita intrauterina. Un esercizio fisico eccessivo può causare ipossia fetale e travaglio pre-termine. Non ci sono molti dati in letteratura (Colorado, Svizzera). In una casistica di donne gravide che si sono recate a La Paz (3600 metri) si sono verificati eclampsia, prematurità, minaccia di aborto.

Le principali cause di mortalità del neonato in alta quota sono ipotrofia o prematurità. La morbidità è per lo più dovuta a distress repiratorio. Il passaggio cardio-polmonare è disturbato dall’ipossia. La chiusura degli shunt anatomici fetali è ritardata. Il ductus arteriosus e il forame ovale in alta quota ritardano la chiusura.

Il neonato in alta quota può aver bisogno della somministrazione di ossigeno supplementare alla nascita e nei primi giorni di vita. Un più elevato rischio di SIDS e potenziali conseguenze dovute all’ipossia sullo sviluppo del cervello del neonato sono controversi. Tra le raccomandazioni per le donne gravide che si recano in alta quota: una visita ginecologica prima di partire, per valutare età gestazionale e l’eventuale presenza di eventuali. Va considerato se ci si trova di fronte alla prima esperienza in alta quota. Oltre i 2500 metri vanno monitorati pressione arteriosa e proteinuria. Dopo le 22 settimane si deve effettuare un controllo ecografico, per valutare arterie uterina e ombelicale e la crescita fetale. In caso di attività fisica oltre i 2500 metri, si deve seguire un periodo di acclimatazione, evitando un eccessivo affaticamento. Il sangue che affluisce ai muscoli, non nutre il feto. Tra le controindicazioni all’alta quota: ipertensione arteriosa cronica, pre-eclampsia, alterata funzione placentare, iposviluppo fetale, cardiopatie o pneumopatie materne, anemia, tabagismo.

 

Non è mai tardi per le vette

 

Linda Keyes, medico dell’emergenza statunitense, ha parlato di “Older women at altitude: still here, still climbing!”. Nel 2012 Tamae Wantanabe, alpinista giapponese nata nel 1938, a 73 anni è la donna più vecchia ad aver scalato l’Everest. Nel 2019 Anne Lorimor a 89 anni è stata la donna più vecchia ad aver scalato il Kilimanjaro. Sharon Crawford, residente in Colorado, continua la sua attività agonistica nella sua categoria a 75 anni nell’“Uphill skiing”. Nancy Keyes a 72 anni ha effettuato il “Tour du Mont Blanc”. Occorre definire i termini e i cambiamenti ormonali della menopausa. Va considerato l’impatto dell’invecchiamento sulla prestazione fisica e sull’acclimatazione. Va valutata l’eventuale presenza di infezioni delle vie urinarie o di osteoporosi. In menopausa l’allenamento ha un effetto benefico. La risposta ventilatoria allo stimolo ipossico cambia con l’età. Nei soggetti bene allenati aumenta la frequenza cardiaca. La menopausa non influisce sui risultati dei test fatti in ipossia. La diminuzione del progesterone in menopausa può facilitare la comparsa di AMS, mentre il disturbo è ostacolato dalla terapia ormonale sostitutiva. Per le donne in menopausa valgono le stesse raccomandazioni riguardanti l’AMS. Le persone più anziane sono a maggior rischio di infezioni delle vie urinarie. L’uso topico di estrogeni è efficace nel prevenire tali infezioni nelle donne in post-menopausa. Può essere utile portare un antibiotico nel kit dei farmaci. La densità delle ossa, che diminuisce con l’età della donna, aumenta il rischio di fratture. L’esercizio fisico migliora la densità e la solidità delle ossa. Occorre, comunque, tenere presente il pericolo di fratture, soprattutto, se esiste un’osteoporosi. L’attività fisica in montagna genera effetti positivi. Servono più studi in grado di stimare rischi e benefici dell’attività fisica in montagna riguardanti le donne in post-menopausa.

 

Lesioni e decessi: il confronto con gli uomini

 

 “Injuries and death at high altitude in women compared to men”: questo è il titolo della successiva relazione a cura della svizzera Susi Kriemler. Il congelamento è una lesione diretta che compare quando la superficie della pelle scende al di sotto di -3°C. Di solito vengono colpiti i tessuti con poca perfusione (mani, piedi, testa). L’esposizione che comporta il fenomeno può variare da secondi a ore, dipendendo dal tipo e dall’intensità del freddo, dal grado di attività fisica, dalla protezione degli indumenti e da fattori individuali. Vi sono quattro gradi di congelamento. Tra i fattori predisponenti: il vento, l’umidità, l’alta quota, l’ipossia, la lunga durata e la quantità dell’esposizione al freddo,

 l’inappropriatezza dell’abbigliamento, l’immobilità, la fatica, la disidratazione e la malnutrizione. Il vento fa aumentare in modo evidente la dispersione di calore, contrasta la capacità di isolamento termico dei vestiti, potenzia la perdita di calore dovuta all’evaporazione. A 5000 metri le probabilità di un congelamento aumentano (vento, disidratazione), tant’è che il rischio di congelamento sull’Everest è molto elevato. Nell’80% dei casi il congelamento riguarda gli uomini, tuttavia, uno studio effettuato nell’esercito americano ha evidenziato una maggior incidenza di congelamenti tra le donne.

Non esistono, però, evidenze riguardanti le differenze legate al sesso a proposito dei congelamenti. Una pletora di fattori confondono le differenze tra i due sessi: grasso, massa muscolare, attività fisica, preparazione fisica, depositi di energia. La fisiologia e il comportamento sono diversi nei due sessi, rendendo difficile fare il paragone. Gli uomini sono più di frequente esposti al freddo rispetto alle donne. Indumenti caldi e asciutti con più strati, idratazione e alimentazione corrette, prevenzione dell’immobilità e buona forma fisica, in grado di supportare la circolazione periferica possono ridurre il rischio di ipotermia e di congelamento. Il tasso di mortalità aumenta con l’altitudine (0,02 % sul Kilimanjaro, 1,5% sull’Everest). Le cause di morte variano a seconda di quota, condizioni ambientali (valanghe, sassi, ghiaccio), difficoltà della scalata, uso di ossigeno, tipo di spedizione alpinistica. Le cause, spesso, non sono chiare: cadute, HAPE/HACE, sfinimento. L’uso dell’ossigeno riduce la mortalità, che aumenta al di sopra dei 65 anni di età. La percentuale di mortalità è 16 per mille sull’Everest (1:1 uomo/donna), 0,23 per mille sul Kilimanjaro (20:1 uomo/donna), 0,77% sull’Aconcagua (7:1 uomo/donna), 3,1% sul Denali (13:1 uomo/donna). Le statistiche evidenziano una netta predominanza di morti tra i maschi. La raccolta dei dati epidemiologici, differenziata per sesso, è buona in Himalaya, ma non sul resto delle montagne del mondo (Kilimanjaro, Aconcagua, Denali). A volte i dati non sono chiari o vanno persi. Può essere che le donne facciano più uso di ossigeno supplementare, preferiscano la sicurezza al rischio o scelgano itinerari più facili. I maschi vanno incontro a un maggior numero di incidenti automobilistici, hanno un comportamento più aggressivo, fanno più uso di sostanze d’abuso e più spesso praticano il gioco d’azzardo: quello che cercano sono le emozioni forti, garantite dalle attività ad alto rischio. La creazione di registri simili a quelli dell’Himalaya potrebbe meglio aiutare a capire e a valutare le differenze tra le percentuali di morte nei due sessi in alta quota. Scegliere montagne con minor rischio, con una inferiore percentuale di mortalità, può essere saggio. Le donne alpiniste potrebbero prendere in considerazione l’uso dell’ossigeno supplementare al di sopra degli 8000 metri per ridurre la mortalità e le probabilità di congelamento.

 

9.10.2022